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Sorrentino presenta a Napoli 'È stata la mano di Dio': "Troisi il nume tutelare del film"

Il film autobiografico esce nelle sale il 24 novembre e su Netflix il 15 dicembre. "Si ride e si piange. C'è tanta verità", dice il regista.

Il protagonista del film Filippo Scotti fotografato da Gianni Fiorito
Il protagonista del film Filippo Scotti fotografato da Gianni Fiorito
16 novembre 2021 | 15.43
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"In questo film si ride e si piange. E io sono emozionato come al mio matrimonio". Paolo Sorrentino non nasconde l'emozione nella presentazione napoletana di 'È stata la mano di Dio', il suo nuovo film, già Leone d'Argento alla Mostra di Venezia e candidato per l'Italia all'Oscar, che arriva nelle sale il 24 novembre, distribuito da Lucky Red, e il 15 dicembre su Netflix. Un film autobiografico che segna una svolta nella cinematografia del regista (tornato a girare nella sua Napoli a 20 anni da 'L'uomo in più') sia dal punto di vista stilistico che per il coraggio di raccontare una storia così intima e personale legata alla scomparsa dei suoi genitori quando era ancora un adolescente. "Questo era un film che non si poteva raccontare come gli altri: bisognava far parlare i sentimenti e le emozioni. Ho lasciato gli attori più liberi, alla ricerca della verità. E poi mi sono chiesto: vediamo se posso essere come altri miei colleghi che ottengono molto lavorando poco", ironizza.

Con chi gli chiede quanta quota della sua vita reale sia entrata nel film, Sorrentino scherza: "Le percentuali non ve le darò ma c'è tanta verità. Sentimenti e intenzioni sono assolutamente reali, c'è solo qualche forzatura cronologica perché non volevo raccontare un arco temporale di 20 anni", sottolinea il regista. Che poi fa chiarezza sui 'padrini' cinematografici del film, da Federico Fellini ad Antonio Capuano, entrambi citati nella trama: "In questo film non c’è feticismo cinematografico. Se c’è un riferimento è al Troisi regista. Finisce come un film di Troisi. Il mio nume tutelare in questo film è Troisi", scandisce.

Quanto al motivo per cui abbia trovato proprio ora il coraggio di questo racconto personale e diverso, il regista spiega: "Forse l'ho fatto adesso perché ho l'età giusta per farlo: ho compiuto 50 anni l'anno scorso e mi è parso che ero abbastanza grande e maturo per affrontare un film personale". Il titolo del film 'È stata la mano di Dio' è legato alla nota vicenda di Maradona ma anche alla storia di Sorrentino, perché fu proprio una partita del Napoli di Maradona ad impedirgli di essere con i suoi genitori in montagna quando entrambi morirono per esalazioni di monossido di carbonio. Ma con il Maradona in carne ed ossa sia il film che il regista nella realtà non si sono praticamente mai incontrati: "Io l'ho visto un'unica volta a Madrid ma lui era distratto. Aveva passato una notte insonne ed aveva avuto dei guai. Del film non sono mai riuscito a parlargli. Non era un uomo facilmente accessibile. Il mio grande rammarico è non poterglielo fare vedere".

Prodotto da Lorenzo Mieli e dallo stesso Paolo Sorrentino per The Apartment, società del gruppo Fremantle, 'È stata la mano di Dio' è anche nelle parole di Mieli il film del "coraggio", addirittura "un colpo di scena" nella cinematografia di Sorrentino, che affronta anche la sua prima collaborazione con Netflix.

Protagonista del film interpretato da Filippo Scotti è Fabietto Schisa, adolescente introverso che cercherà nel cinema un'alternativa alla realtà dolorosa e "scadente". "Spero che ai ragazzi che lo vedranno - spiega Sorrentino - arrivi il fatto che il film contiene un’idea di futuro. Il non abdicare mai ad un’idea di futuro. Questo futuro c’è sempre, anche se è invisibile a 17-18 anni". Mentre Scotti confessa di essersi preparato alle riprese "cercando la mia verità e poi quella del personaggio" e di essersi preparato "ascoltando la musica e vedendo i film che Paolo vedeva negli anni '80".

Mentre nei panni dei genitori ci sono Teresa Saponangelo e Toni Servillo. "Io sono stato promosso sul campo da Paolo da fratellone, come normalmente mi definisce, a padre. Venti anni fa - dice l'attore - ero con Paolo per 'L'uomo in più' e nella nostra lunga e proficua collaborazione è capitato più volta che mi dicesse che prima o poi avrebbe trovato la distanza giusta per raccontare questo episodio drammatico della sua vita e mi diceva: 'ti chiederò di fare il padre'. Naturalmente è emozionante ricevere una proposta del genere, però non ci ha mai chiesto di essere esattamente quello che è conservato nel privato della sua memoria. Ci ha dato qualche spunto. Ci siamo divertiti a raccontare certi papà che sentendosi un po’ inadeguati finiscono per risultare simpatici nella loro cialtroneria. E poi c'è questa moglie così appassionata di scherzi che rende divertente la coppia anche se va verso un destino tragico", aggiunge Servillo.

Nei panni di una zia pazza e bellissima c'è invece Luisa Ranieri: "Ho cercato di lavorare non tanto sul fatto che fosse pazza - dice l'attrice - ma sul dolore che questa donna provava al punto da voler fuggire dalla realtà. Sono la nota stonata, la diversa, il problema. Ma anche la donna fuori dagli schemi, quella che riesce a vedere oltre, che vede quello che non c’è. Nella sceneggiatura avevo letto quello che probabilmente Paolo voleva da questo personaggio. E poi mi sono fidata completamente. Non ho nemmeno mai chiesto a Paolo se fosse mai esistita questa zia, tanto era scritta bene".

E a proposito di dolore Sorrentino confessa che l'aver fatto un film sulla sua tragedia privata è stato in qualche modo terapeutico: "Ho passato già tre mesi a presentarlo in giro per festival e parlarne sempre ha fatto in modo che il dolore stia diventando noioso. E questo è di grande aiuto. Annoiarsi di una cosa è una buona scorciatoia per non occuparsene più…Purtroppo - aggiunge sorridendo - a fine film mi tocca ascoltare le storie di lutti simili vissute dagli spettatori".

Quanto alla nuova corsa all'Oscar, premio che il regista ha già vinto nel 2014 per 'La grande bellezza', Sorrentino si affida ad un fatalismo scaramantico: "Il mio atteggiamento - dice - non è cambiato rispetto a 7 anni fa. Ho solo più consapevolezza del fatto che una quantità di variabili debbano coincidere per vincere un Oscar. La marcia è lenta. Si vive alla giornata. Tu puoi solo lavorare al meglio e sperare che queste variabili si mettano tutte nella direzione giusta", conclude.

di Antonella Nesi

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