Il capolavoro di Modest Musorgskij diretto dal maestro Riccardo Chailly e il basso russo Ildar Abdrazakov voce principale
Lunghissimi applausi, oltre 13 minuti, con lancio di fiori sul palcoscenico (e nessun fischio dal loggione), hanno reso omaggio alla Prima dell'opera russa Boris Godunov di Modest Musorgskij che questa sera ha inaugurato la Stagione d'Opera 2022/23 del Teatro alla Scala di Milano. Un'ovazione per il superlativo Ildar Abdrazakov, il basso russo che ha interpretato il protagonista principale, lo zar di tutte le Russie, alla sua sesta Prima scaligera.
Ammirato anche il resto del cast: Ain Anger (Pimen), Stanislav Trofimov (Varlaam), Dmitry Golovnin (Grigorij Otrepev) e Norbert Ernst (Šujskij), Lilly Jørstad (Fëdor). Molto apprezzate la direzione del maestro Riccardo Chailly e la regia di Kasper Holten, quest'ultima sostenuta dalle suggestive scenografie disegnate da Es Devlin, e dai sontuosi costumi creati Ida Marie Ellekilde, immersi in un'atmosfera cupa ammantata dalle luci di Jonas Bǿgh e dai video di Luke Halls.
La 25esima rappresentazione scaligera del capolavoro della lirica russa è stata un trionfo, che ha spazzato via simbolicamente anche le (poche, in verità) polemiche della vigilia: secondo l'ambasciata ucraina in Italia sarebbe stato, infatti, inopportuno in questo periodo rappresentare un'opera incentrata su uno zar ingordo di potere. "Con Boris Godunov presentiamo un capolavoro della storia dell'arte, non significa che sia un appoggio alla politica russa, sono cose diverse", ha detto il sovrintendente Dominique Meyer nel Foyer prima dell'esecuzione dell'opera.
Il sipario si è alzato alle 18, con il Teatro gremito di melomani giunti da ogni parte del mondo e una folla di personalità istituzionali e vip come mai nella storia della Prima della Scala, la 71esima da quando il maestro Victor de Sabata decise che l'inaugurazione della stagione lirica sarebbe avvenuta nel giorno di Sant'Ambrogio, patrono di Milano.
Il maestoso e sfarzoso Boris Godunov, eseguito sotto la mirabile bacchetta del maestro Chailly nella prima versione in sette scene (il cosiddetto Ur-Boris), presentato da Modest Musorgskij ai Teatri imperiali di San Pietroburgo nel 1869, è stato preceduto dall'esecuzione dell'inno nazionale italiano e da quello europeo: tutto il pubblico in piedi per l'Inno d'Italia di Goffredo Mameli e l'Inno alla Gioia di Beethoven.
A cominciare dal palco reale con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ancora una volta ripetutamente e lungamente acclamato (per lui 4 minuti di applausi al suo ingresso in sala), accompagnato dalla figlia Laura, con accanto la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, al suo debutto nel tempio della lirica mondiale (eccezionale anche la co-presenza del capo del Governo e del capo dello Stato, che rappresenta pressoché un unicum nella storia del cerimoniale, fatta salva la Prima del 2011 con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l'allora neo presidente del Consiglio Mario Monti). Nel palco reale, inoltre, il presidente del Senato, Ignazio La Russa, il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, e il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana.
Tra le presenze governative il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, il ministro delle Riforme, Maria Elisabetta Casellati, il ministro dell'Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini. A causa della nutrita presenza istituzionale è stato allungato di dieci minuti l'intervallo in modo da permettere a tutti gli illustri ospiti di andare a salutare il direttore d'orchestra Riccardo Chailly. Al presidente Mattarella una rappresentanza dei lavoratori della Scala ha consegnato una lettera contro i tagli alla cultura.
Come sempre la Prima della Scala ha richiamato numerosi personaggi dello spettacolo, della cultura, dell'economia e della società civile, per quello che è un evento tra i più glamour in assoluto. Il mondo del cinema era rappresentato dal regista Luca Guadagnino e dagli attori Stefano Accorsi, Fabrizio Gifuni, Sonia Bergamasco e da Rocío Muñoz Morales, madrina dell'ultima Mostra del Cinema di Venezia, mentre per la musica pop spiccava la presenza del cantautore Morgan.
Tra i rappresentanti della cultura lo scrittore Alessandro Baricco, gli slavisti Fausto Malcovati e Cesare De Michelis, l'editore Luca Formenton (il Saggiatore), il Ceo di Adelphi Roberto Colaianni, il sovrintendete della Pinacoteca di Brera, James Bradburne, gli architetti Stefano Boeri, presidente della Triennale, Mario Botta e Italo Rota. Il mondo del teatro è stato rappresentato dal direttore del Piccolo Claudio Longhi e dalla regista e direttrice del 'Franco Parenti' Andrée Ruth Shammah e dalla scenografa Margherita Palli. Il mondo della moda ha visto la presenza di Roberta Armani, nipote del grande Giorgio. Tra gli habitué della Prima anche la senatrice a vita Liliana Segre.
Per la Rai erano in sala il presidente Marinella Soldi e l'amministratore delegato Carlo Fuortes. Tra gli ospiti anche il presidente dell'Università Bocconi ed ex premier Mario Monti insieme al suo successore Andrea Sironi, l'ex ambasciatore Sergio Romano, il presidente del Vidas, il giornalista Ferruccio De Bortoli, e la decana dei giornalisti scaligeri, Natalia Aspesi.
Particolarmente densa la presenza di sovrintendenti delle istituzioni musicali europee: Alexander Neef dell'Opéra di Parigi, Joan Matabosch del Real di Madrid, Elisabeth Sobotka, designata alla Staatsoper di Berlino dal 2024, Valenti Oviedo del Liceu di Barcellona, Thomas Angyan storico direttore artistico del Musikverein. Tra gli italiani Fortunato Ortombina della Fenice, Michele dall’Ongaro di Santa Cecilia, Claudio Orazi del Carlo Felice, Fulvio Macciardi del Comunale di Bologna oltre al già sovrintendente della Scala Carlo Fontana.
La Scala, infine, ha voluto sottolineare l'emergere nel Corpo di Ballo di nuove personalità ormai note al grande pubblico invitando alla Prima i suoi Primi Ballerini: Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko, Martina Arduino e Marco Agostino, e Alice Mariani (prima ballerina da pochi mesi), oltre all'étoile Roberto Bolle, sempre presente alle Prime, e a Beppe Menegatti, ritornato in Teatro dopo la morte della moglie, la grande ballerina Carla Fracci.
Titolo ricorrente delle stagioni scaligere fin dalla prima italiana del 1909 voluta da Arturo Toscanini (ma diretta da Edoardo Vitale), diretto tra gli altri dallo stesso Toscanini ma anche da Guarnieri, Votto, Gavazzeni e Gergiev, Boris Godunov ha aperto la stagione scaligera per la seconda volta dopo la memorabile edizione diretta da Claudio Abbado nel 1979 con la regia di Juri Ljubimov. La versione scelta da Chailly è stata quella primigenia che sgomentò i contemporanei per i tratti innovativi e realistici tanto dal punto di vista drammaturgico quanto da quello musicale e che si concentra sul tema della colpa individuale e sulle sue inevitabili conseguenze. Una vicenda cupa, riletta oggi come una metafora, dove la coscienza si oppone al potere e la forza della verità si batte contro la censura.
Il dramma si apre nel 1598: morto lo zar Fëdor, guardie e sacerdoti esortano il popolo a pregare perché il boiardo Boris Godunov accetti di ascendere al trono. Infine l'incoronazione ha luogo nella piazza delle cattedrali del Cremlino in un'imponente cerimonia turbata però da alcuni disordini. In una cella del monastero di Čudov l'anziano monaco Pimen sta per terminare la sua cronaca delle vicende della Russia. La cronaca riporterà la verità sull'assassinio dello zarevič Dimitri, legittimo erede al trono, perpetrato su ordine di Boris.
Pimen narra il delitto al novizio Grigorij, che avendo la stessa età dello zarevič risolve di farsi passare per lui guidare una rivolta contro Boris per impossessarsi del trono. Grigorij ripara in Polonia evitando l'arresto attraversando la frontiera con la Lituania. Le ultime scene narrano fatti accaduti nel 1604: i figli di Boris, Xenia e Fëdor sono cresciuti; lo zar governa ormai un paese stremato dalla carestia in cui il malcontento serpeggia tra il popolo e si moltiplicano le voci sul regicidio commesso, mentre alle frontiere premono le forze ribelli guidate da Grigorij. Perseguitato dal fantasma dello zarevič, Boris Godunov perde il senno e muore dopo un'ultima esortazione al figlio Fëdor.
(di Paolo Martini e Federica Mochi)