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Transizione, rinviato il voto sul Supply chain act: decisiva la posizione dell’Italia

Per gli industriali il provvedimento, noto anche come Csddd, genererebbe un aumento dei costi insostenibile e più inflazione

Persone che parlano in azienda - Canva
Persone che parlano in azienda - Canva
09 febbraio 2024 | 17.39
LETTURA: 3 minuti

Secondo gli industriali il provvedimento, noto anche come Csddd, avrebbe generato un aumento dei costi insostenibile

È stato rinviato il voto decisivo sul Supply chain act europeo, che potrebbe imporre alle imprese un dovere di diligenza molto incisivo in ambito ambientale e sociale.

Che cosa è il Supply chain act (o Csddd)

In base a questo provvedimento, il cui voto del Consiglio Ue era previsto per oggi 9 febbraio, le aziende sopra i 40 milioni di fatturato saranno tenute a individuare, far cessare, evitare, attenuare e dar conto degli effetti negativi sui diritti umani e sull’ambiente. Uno degli aspetti più controversi del provvedimento è che quest’obbligo ricadrebbe sulle imprese in relazione alle operazioni:

- proprie dell’impresa;

- delle controllate;

- di tutte le aziende coinvolte nella catena del valore.

In sostanza, il Supply chain act, conosciuto anche come Csddd (Corporate Sustainability Due Diligence Directive) prevederebbe una sorta di “responsabilità oggettiva” per queste aziende in ambito Esg.

Inoltre, si prevede che determinate grandi imprese debbano disporre di un piano per garantire che la propria strategia commerciale sia compatibile con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5 °C in linea con l’accordo di Parigi.

Le imprese sottolineano, poi, un altro punto controverso del provvedimento: gli amministratori sarebbero tenuti a integrare il dovere di diligenza nella strategia aziendale, istituire i relativi processi e vigilare sulla loro attuazione. In capo agli amministratori anche il dovere di considerare le possibili conseguenze delle loro decisioni sui diritti umani, sui cambiamenti climatici e sull’ambiente. Anche in questo caso, non solo per quanto riguarda strettamente la propria azienda, bensì lungo tutta la filiera e anche per contratti di fornitura già firmati e vincolanti su base pluriennale.

In cambio, dei benefici non meglio specificati dal testo del Supply chain act.

Italia in prima linea nel rinvio

A provocare lo stop sono state le perplessità delle imprese europee, che avevano lanciato l’allarme: gli obblighi di verifica lungo tutta la catena di fornitura genererebbero un aumento dei costi di approvvigionamento e monitoraggio. L’appello dell’associazione delle confindustrie europee BusinessEurope è stato accolto.

Come riporta Il Sole 24Ore, decisivo è stato il dietrofront di Germania, Austria, Finlandia e Italia, dopo l’appello lanciato dalle associazioni confindustriali nazionali e da quella continentale BusinessEurope. La richiesta di rinviare il voto sulla Supply chain act è arrivata in maniera particolarmente decisa dagli industriali di Germania e Italia. L’aumento dei costi, sottolineano, metterebbe in serie difficoltà le imprese con possibili conseguenze inflazionistiche. E quindi con le conseguenze, purtroppo ben note, sui tassi di interesse.

Confindustria aveva chiesto ufficialmente al Governo di astenersi (quindi di esprimere una posizione negativa) sulla proposta di direttiva al voto finale.

La Germania ha abbandonato la linea ecologica che ha contraddistinto il suo supporto alla Commissione von der Leyen a trazione green, condividendo la posizione italiana. Finora l’Italia era la sola in Europa con quest’orientamento, giudicato inadeguato di fronte all’emergenza dei cambiamenti climatici in atto.

Come è andato il voto sulla Csddd

Il rinvio è arrivato dopo che anche la Germania, seguendo la scelta di Austria, Finlandia e Italia, ha fatto sapere che si sarebbe astenuta al momento della votazione. Giova ricordare che in questo caso l’astensione equivale a un voto negativo. Se si fosse votato oggi, quindi, la Csddd non avrebbe raggiunto la maggioranza necessaria.

Ancora una volta si instaura l’annoso dibattito tra esigenze ambientali ed esigenze economiche e gestionali delle imprese. Un dibattito analogo si è sollevato in merito alle auto elettriche. In quel caso, proprio l’improvviso stop agli incentivi decretato in Germania ha portato giù con sé il mercato europeo.

Solo ieri Consiglio e Parlamento Ue hanno raggiunto un accordo per prorogare di due anni l’entrata in vigore della Csrd (Corporate Sustainability Reporting Directive) per alcuni settori e per le aziende di Paesi terzi.

Quest’ultima direttiva dovrebbe segnare la svolta nell’ambito della trasformazione ecologica, ma adesso le imprese fanno sentire più forte la propria voce. Supply chain act e Csrd sono due facce di una stessa medaglia: la necessità di trovare un equilibrio tra produttività e sostenibilità. Un compromesso sempre più difficile e sempre più urgente.

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