Confermata l’efficacia di una nuova molecola, pembrolizumab, nel consentire un'attività antitumorale e una sicurezza a lungo termine favorevoli nei pazienti con melanoma in stadio avanzato. Il dato emerge da uno studio presentato al 52° Congresso dell’American Society of Clinical Oncology (Asco), il più importante appuntamento mondiale di oncologia in corso a Chicago fino al 7 giugno, con la partecipazione di oltre 30.000 specialisti.
Il 55% dei pazienti colpiti da melanoma metastatico o non operabile trattati con pembrolizumab, nuova molecola immuno-oncologica, è vivo dopo due anni dall’inizio del trattamento. Si tratta di un netto miglioramento, pari al 27% in più rispetto al 43% raggiunto da ipilimumab, che fino a oggi ha rappresentato lo standard di cura per questa malattia che, nel solo 2015, ha fatto registrare in Italia 11.300 nuove diagnosi.
Il beneficio della molecola si mantiene nel tempo, infatti in un altro studio, il Keynote-001, presentato in conferenza stampa ufficiale a Chicago, il 40% delle persone è ancora vivo a distanza di 3 anni. "I dati delle due ricerche si completano a vicenda - spiega Michele Maio, direttore Immunoterapia Oncologica del Policlinico Santa Maria alle Scotte dell’Università di Siena - siamo di fronte a un fenomeno caratteristico dell’immuno-oncologia: è molto probabile che le persone che sopravvivono al secondo e terzo anno dall’inizio della terapia siano vive anche a 5 anni e 10 anni. Alla luce dei dati dei due studi presentati all’Asco, possiamo quindi prevedere che la sopravvivenza a lunghissimo termine si manterrà più elevata con pembrolizumab rispetto al trattamento con ipilimumab".
Il nostro Paese ha guidato i più importanti studi clinici con l’immuno-oncologia e Siena è la capofila a livello mondiale. In dieci anni nella città toscana più di 700 pazienti sono stati trattati con queste terapie innovative che stimolano il sistema immunitario a combattere il cancro. E negli ultimi due anni le sperimentazioni con pembrolizumab hanno coinvolto più di 200 persone colpite da diversi tipi di neoplasie.
La molecola ha dimostrato vantaggi significativi anche nel tumore del polmone, evidenziando l’importanza dell’utilizzo dei biomarcatori, potenziali strumenti per identificare in anticipo i pazienti nei quali queste terapie possono essere efficaci. "Con grandi vantaggi anche per il sistema sanitario - sottolinea Maio - è infatti possibile in questo modo razionalizzare le risorse trattando con il farmaco giusto i pazienti selezionati in base alla maggiore espressione di un biomarcatore, la proteina Pd-L1, sulle cellule tumorali. È un’area della ricerca di grande interesse perché potremo aumentare la percentuale di malati in grado di rispondere ai trattamenti in funzione delle caratteristiche del tumore da cui sono colpiti".