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Covid due anni dopo, Pregliasco: "Autostrada deserta e paura, così iniziò la guerra di trincea"

I ricordi del virologo: "Pensavamo di avere abbastanza dispositivi di protezione ma bastarono solo per una settimana"

(Fotogramma)
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19 febbraio 2022 | 12.05
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"Ricordo i viaggi sull'autostrada del Sole deserta, da solo, con la mia auto di servizio e i lampeggianti. Questa è stata davvero la cosa più straniante. E a un certo punto la paura. La paura di contagiarsi, perché quello che per tutti era un momento di isolamento per me era invece un periodo di frenesia e di contatti. Sembrava dovesse essere una guerra lampo e invece è diventata una guerra di trincea con tutti gli effetti pesanti della guerra di trincea". Così il virologo Fabrizio Pregliasco, docente all'Università Statale di Milano e presidente dell'Anps, tra le maggiori associazioni di volontariato in campo sanitario, affida all'Adnkronos Salute i suoi ricordi a due anni dallo scoppio della pandemia di Covid-19 in Italia.

"Era il 13 febbraio 2020", una settimana prima che venisse individuato il primo caso di Covid a Codogno, "quando proprio qui nel mio studio - racconta il virologo - ci eravamo riuniti per fare il punto sull'operatività a livello ospedaliero e avevamo fatto un censimento dei materiali. Ne avevamo ancora un po' dall'ultimo rischio Ebola che si era prospettato e - dice con un sorriso - pensavamo 'sì dai abbiamo un migliaio di tute, abbiamo le mascherine. Ci siamo'. Tutte cose che poi ci sono bastate per una settimana. Questo è stato", afferma tornando serio. E "ricordo nelle onde della pandemia le onde delle angosce e delle discussioni sui vari temi che dalla carenza di mascherine ai vaccini si sono susseguiti. Quanto stress".

'Ci applaudivano dai balconi, oggi siamo tutti stanchi'

"All'inizio ci applaudivano dai balconi quando con le tute si andavano a prendere i pazienti ma poi - dice il medico - quando c'è stata la riapertura davamo fastidio perché essere vicino di scrivania di chi poteva essere stato infettato e quindi infettare ha creato problemi. Molti colleghi - racconta - hanno dovuto mollare e smettere di fare per un po' servizio. E' quello che succede nella guerra di trincea: dall'emozione e dall'adrenalina dell'immediato si passa al logoramento e alla solitudine del soldato. Oggi per me ma anche per i miei collaboratori, per gli operatori che ancora oggi sono nel reparto Covid, c'è un elemento di fatica, di stress, di repulsione quasi". Tra i volontari "alcuni si sono esauriti, allontanati, c'è difficoltà a continuare nell'operatività".

Ma "spero - è l'auspicio di Pregliasco - che questa transizione verso la normalità ci riporti a un rasserenamento e soprattutto a una pacificazione, perché - rileva - quel che vedo, seppure in una parte minoritaria di persone, è proprio un contrasto. Per me che mi sono impegnato anche nella divulgazione scientifica la definizione di 'viro-star', che è svilente e negativa, è significativa. Non ne siamo usciti migliori - afferma amaro - ma è una reazione che io vedo legata a questa guerra di trincea che in qualche modo purtroppo non possiamo abbandonare".

Pregliasco però non ha perso la passione per il suo lavoro. "All'inizio - ammette - non immaginavo che sarebbe stata una cosa così enorme e lunga ma io da 30 anni studio, approfondisco e mi occupo di epidemiologia, di virus respiratori e mi sentivo un po' come il sottotenente Drogo del Deserto dei Tartari: una vita di attesa e preparazione alla battaglia". Quindi l'arrivo della pandemia in un certo senso "a me ha dato una maggiore carica". Però "mi manca il tempo" e quando tutto sarà finito "vorrei tornare a passare un po' di tempo insieme alla mia compagna Carolina".

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