(Adnkronos Salute) - Meduse nel piatto. Se da una parte la proliferazione di questi organismi (Cnidari) negli ecosistemi marini può avere un impatto negativo sulla salute pubblica, sul turismo e sulle attività industriali e commerciali, sembra tuttavia che le meduse possano portare anche dei benefici, rappresentando una potenziale risorsa nutrizionale. Se ne è accorta la ricerca, che le sta studiando, spiega Antonella Leone, del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr, Inspa-Lecce).
"Recenti dati - scrive l'esperta nel numero di giugno della newsletter italiana dell'Agenzia europea sulla sicurezza alimentare (Efsa) - hanno infatti evidenziato particolari proprietà biologiche delle meduse, confermando così scientificamente il loro utilizzo culinario e farmaceutico nel Sud-est asiatico, consolidato da millenni. Si tratta di un alimento a basso contenuto calorico: le meduse sono interamente composte da acqua, sali minerali e proteine, con quantità minime di lipidi". Inoltre, in alcune specie di questi organismi sono spesso presenti di microalghe, "che arricchiscono i tessuti di preziosi acidi grassi omega 3 e omega 6. Il contenuto di carboidrati, invece, è trascurabile, per un apporto calorico inferiore a 20 Kcal per 100 grammi. Il prodotto fresco è ricco di sali minerali con basse probabilità di accumulare metalli pesanti, dato che il ciclo di vita di questi organismi è spesso inferiore a un anno".
Nell'Ue però, spiega, la possibilità di usare specifiche specie di meduse in campo alimentare è subordinata alla valutazione dell'applicabilità del regolamento 258/97, che prevede la preventiva autorizzazione a livello europeo per tutti i 'nuovi' alimenti. Al momento le meduse commestibili sono pescate o allevate soprattutto nei Paesi del Sud-est asiatico, dove sono vendute nei mercati locali o esportate. Bisogna fare attenzione, perché secondo un recente studio - riporta Leone - il 70-100% dei prodotti non contiene la specie edule più pregiata (Rhopilema esculentum), come dichiarato in etichetta, ma specie differenti, talvolta anche Pelagia noctiluca, la più comune e urticante nel Mediterraneo. Con l'acquisizione di adeguate conoscenze e con lo sviluppo di metodologie per il processamento e la conservazione, questi organismi potrebbero diventare una risorsa in termini di sostenibilità alimentare.