Il liquido seminale può essere considerato una matrice più affidabile e precoce del sangue nel valutare l’impatto ambientale sulla salute umana. E' quanto hanno messo in evidenza gli studi dell’uroandrologo Luigi Montano, copresidente della Siru (Società italiana della riproduzione umana), che ha sviluppato la sue ricerche sul liquido seminale come 'bioindicatore' partendo dalla drammatica casistica della 'Terra dei fuochi', in cui vive e lavora, zona ad alto rischio per l’inquinamento e il correlativo incremento di patologie cronico-degenerative. Al congresso europeo dell’Eshre (Società europea di riproduzione umana), che si conclude oggi a Barcellona, su circa 1000 poster presentati quello di Montano (EcoFoodFertility Project) è stato selezionato tra i migliori 4.
"Lo studio presentato - spiega Montano - apre nuovi scenari per il monitoraggio sanitario delle popolazioni che vivono in zone ad alto rischio e per programmi innovativi di prevenzione primaria. Gli spermatozoi, per facile reperibilità e alta sensibilità agli inquinanti ambientali, possono essere considerati dei bioindicatori 'ideali' del danno ambientale e sentinelle attendibili della stato di salute dell’uomo, vista, peraltro, la stretta relazione fra infertilità, patologie croniche, comorbidità e mortalità".
"Il seme - sottolinea - è infatti un bioaccumulatore di sostanze contaminanti: analizzandolo non solo è possibile qualificare e quantificare tali sostanze, ma anche valutare direttamente il loro effetto sugli spermatozoi che, a differenza degli ovociti (la riserva ovarica nella donna è già presente alla nascita e si consuma progressivamente fino alla menopausa), dalla pubertà in poi si producono continuamente con più stadi replicativi e più possibilità di subire mutazioni", conclude l'uroandrologo.