Con l’esplosione della pandemia di Covid-19 si è imposta la necessità di utilizzare la telemedicina per ridurre l’afflusso dei malati in ambulatori e ospedali. Eppure mail, sms, WhatsApp e Skype anche nella fase post-isolamento vengono utilizzati da molti dei 16 milioni di pazienti con dolore cronico benigno. Tra chi deve fare i conti con una patologia invalidante, che sia artrite reumatoide o dolori della colonna vertebrale, sciatica o lombalgia, emicrania o artrosi, prevale ancora un po’ di prudenza.
"Molti anziani - conferma Pier Luigi Bartoletti, segretario provinciale della Federazione italiana medici di medicina generale (Fimmg) di Roma e vicepresidente dell’Ordine dei medici di Roma - hanno paura e non vogliono che andiamo a casa loro. Altri, invece, cercano di tornare alla normalità con comportamenti imprudenti. Il teleconsulto è un po’ calato, si è tornati al telefono e alla visita in studio ma indubbiamente, per i pazienti con dolore cronico non oncologico, le alternative offerte dalla sanità digitale significano molto. Con questi strumenti siamo sempre stati contattati per ricevere sollievo, consigli e indicazioni sulle terapie. Le loro principali richieste? Se fosse necessario sospendere la cura oppure se la stessa potesse in qualche modo favorire o aggravare il coronavirus”.
"Anche prima di Covid-19 - ricorda Pierangelo Geppetti, professore di Farmacologia clinica all’Università di Firenze e direttore del Centro Cefalee dell’ospedale universitario Careggi - l’uso del contatto telefonico o tramite email era ampiamente usato soprattutto dopo la prima visita nella gestione del percorso diagnostico e del monitoraggio della terapia. Tuttavia, con l’emergenza sanitaria le strutture sanitarie hanno richiesto ai medici e fortemente incoraggiato l’uso di mezzi virtuali e digitali, incluse le video-visite, per affrontare i problemi del dolore acuto e cronico".
Tra i sostenitori della sanità a distanza, gli emicranici. "L’emicrania colpisce il 15% della popolazione generale - sottolinea Geppetti - e nella fascia d’età da 20 a 50 anni è la malattia che comporta una maggiore disabilità rispetto a tutte le altre. Durante la quarantena, grazie anche ad una cartella elettronica diffusa in molti centri cefalee italiani, è stato possibile avere una stima dell’impatto di Covid-19 nella qualità della vita dei pazienti. I risultati? Variano da Nord a Sud (anche in relazione alla diffusione dell’epidemia nelle diverse aree geografiche italiane) e in base al fatto se l’attività lavorativa o scolastica era stata interrotta o svolta in modalità remota. Da notare che uno dei sintomi principali del coronavirus è la cefalea. Ma in caso di cefalea con sospetta infezione da Sars-Cov-2 l’esame del paziente in ambulatorio o in ospedale è assolutamente indispensabile".
"Una significativa percentuale di pazienti - prosegue Geppetti - con un rallentamento delle attività quotidiane e del relativo stress dovuto alla quarantena ha registrato un miglioramento dell’emicrania, mentre in altri, a causa della tensione associata al timore dell’infezione o a modalità di lavoro o studio in casa, si è verificato un peggioramento. Quindi, è stata la risposta individuale allo stress o alla sua mancanza a determinare l’esito. E ciò è largamente atteso per una patologia come l’emicrania che è fortemente dipendente dallo stile di vita".
"La gestione del dolore è stata diversa a seconda dei quadri sintomatologici – aggiunge Bartoletti -. I pazienti con emicrania sono stati molto aderenti alla terapia e la semplificazione circa l’invio delle prescrizioni per via telematica, ha facilitato la cura. I malati reumatici hanno mantenuto elevati i livelli di aderenza, fatta eccezione per chi assumeva idrossiclorochina, poiché difficile da reperire e questo ha indotto in molti di loro ansia: temevano che il farmaco non sarebbe più stato disponibile. Per coloro che assumevano farmaci biologici tramite somministrazione ospedaliera, invece, abbiamo dovuto lavorare con il Centro assistenza domiciliare e le farmacie aziendali per trovare e somministrare il farmaco a casa".
“Nella Regione Lazio, primi in Italia - conclude Bartoletti - sulla base delle linee guida dell’Oms e in carenza di dispositivi di protezione individuale, abbiamo sviluppato una piattaforma di teleassistenza che ha consentito, oltre a metodi più empirici e spontanei (social, sms, mail) di non far mai sentire soli i pazienti. Gli strumenti per visitare i pazienti da remoto sono quelli 'classici': saturimetro digitale, misurazione della pressione arteriosa e della temperatura corporea. Ma la telemedicina, sebbene sia uno strumento utile, non può sostituire la visita in ambulatorio e bisogna svilupparla in 'tempo di pace', concentrandosi sul miglioramento dello standard qualitativo delle apparecchiature. Visite con il supporto digitale non se ne possono fare. Si può, invece, cercare di individuare, anche a distanza, quadri patologici emergenti, consigliare aggiustamenti posologici o verificare se è necessaria una visita in caso di comparsa di sintomi nuovi".
Ma il dolore peggiore è la solitudine. Per contrastare questo senso di abbandono che la concentrazione dell’informazione sul coronavirus ha generato tra le persone affette da dolore benigno e patologie reumatiche, Alfasigma, azienda leader con una forte specializzazione nelle aree di ortopedia e reumatologia, ha avviato l’iniziativa 'Alfasigma News&service: l’informazione verificata ai tempi del coronavirus', che vuole trasmettere vicinanza ai pazienti e ai loro familiari con notizie utili e certificate. Alfasigma News&service tratterà, con l’aiuto di esperti, tutti quegli argomenti inerenti alle patologie reumatiche connessi a Covid-19 su cui si è riscontrata una carenza di comunicazione, mettendo il paziente nella condizione di poter essere protagonista attivo nel proprio percorso di cura e di poter migliorare la propria aderenza terapeutica.