Il mese trascorso dall'attacco russo all'Ucraina ha scosso alle fondamenta il panorama politico, al punto che di fronte all'urgenza di soccorrere il Paese aggredito, in Parlamento si è raggiunto uno spirito di rara unanimità (da Fdi fino a Leu) a sostegno delle vittime e di condanna dell'operato di Vladimir Putin. Ma da sotto le macerie dei trenta giorni che hanno sconvolto il mondo risalgono anche i fumi delle recriminazioni e delle polemiche, più o meno insistite ed esplicite, sulla 'special relationship' che con Mosca ha intrattenuto una parte della politica italiana. Da un lato, nessuno chiama in causa (a parte l'azzurro Elio Vito), a differenza di quanto accade a Matteo Salvini o a Giuseppe Conte, il leader di Fi Silvio Berlusconi, il cui rapporto con il presidente russo sembrava inossidabile, ben oltre il famoso "spirito di Pratica di Mare" di un tempo.
L'ex premier, di fatto, pur avendo fatto trapelare di considerare "irriconoscibile" il suo amico di un tempo, è rimasto sostanzialmente silente, anche se molti in Fi sottolineano che proprio in situazioni di estrema crisi può funzionare operare lontano dai riflettori. E così non risulta sia stata resa pubblica la notizia di alcun possibile contatto tra Berlusconi e Putin. All'opposto, uno fra i più stretti consiglieri del Cav specie nelle cose russe, Valentino Valentini, non ha mancato di tenere un discorso chiaro e fermo verso Mosca, alla Camera, in occasione del dibattito dopo l'informativa urgente di Luigi Di Maio. Dall'altro lato, sono più esposti al fuoco delle polemiche la Lega di Matteo Salvini e il Movimento Cinque Stelle guidato da Giuseppe Conte. A gravare sui leader dell'antica coalizione gialloverde, la passata freddezza verso le istituzioni europee di Salvini (come recentemente rinfacciatogli indirettamente da Enrico Letta), le non abbastanza lontane missioni del partito in terra di Russia e anche un certo gelo verso l'invio di armi agli ucraini: "Sono in difficoltà quando qualcuno parla di armi...", ha detto Salvini dopo aver ascoltato il "discorso di pace" di Zelensky a Montecitorio e sentito le parole del premier Mario Draghi sulla necessità delle forniture militari.
A gravare, invece, su Conte, non solo il caso del presidente della commissione Esteri Vito Petrocelli, ormai etichettato come filo-russo, ma l'insofferenza della pancia del partito nei confronti dell'aumento delle spese militari fino al 2% del Pil. Tanto che, alla fine, proprio l'ex 'avvocato degli italiani' ha domandato polemicamente con quale faccia si aumenta il budget della Difesa quando gli italiani devono combattere contro il caro bollette. "Sarebbe inaccettabile'', ha detto. Era un impegno verso l'Alleanza atlantica, certo, ma in un momento in cui tutto si tiene (difesa, Ue, Nato, Ucraina, sanzioni, energia) proprio nella maggioranza non tutti 'tengono' nello stesso modo.