Il cronista del Corriere: "Mi avvicinarono e divenni uno ‘spione russo’. Anzi, sovietico: avevo anche un nome in codice..."
"Ero al Corriere della Sera. Mi avvicinarono e divenni uno ‘spione russo’, anzi, sovietico. Avevo anche un nome in codice. Sono ormai tanti anni che agli amici, mangiando una pizza, racconto particolari inediti e divertentissimi, e mi chiedono perché non ci scrivo sopra un libro". Così il giornalista del Corriere della Sera Giuseppe Pullara, il cui nome compariva nel dossier Mitrokhin (nome in codice 'Dzhura') e che poi risultò estraneo a tutto, commenta con l’AdnKronos il giallo sugli ospiti nei talk show italiani al soldo di Mosca.
"Che ci siano degli agenti segreti che scelgono la copertura di un ruolo televisivo per dire delle cose... Ecco, a me sembra che la gente vada troppo al cinema...", dice Pullara, che poi aggiunge: "Molta gente che gira nei talk show è a libro paga... Io non farei una grande distinzione fra ‘vergini’ e colpevoli. Si vedono intellettuali che ragionano con la testa loro e non sono a libro paga di nessuno, ma, ad esempio, ci sono anche delle ‘vicinanze’ naturali, legali, scoperte, che si vedono. Ognuno ci mette la faccia e va bene così".
"Siamo su un piano ‘all’italiana’... Si pensa agli agenti segreti che vanno in tv, mi pare un po’ troppo - aggiunge Pullara all'Adnkronos - Ma poi chi sono quelli del Copasir? Perché non ci hanno spiegato la faccenda dell’ufficiale di Marina Biot? Quello era un evidente caso di lotta interna ai vari nostri servizi segreti, ma è stato presentato come se si trattasse di una spia russa". Quanto, infine, alla tesi che vede la disinformazione del Cremlino puntare sull’Italia individuata come target, una sorta di ‘ventre molle’ dell’Occidente, Pullara chiosa: "Tutto è possibile, ma l’idea di questa strategia raffinatissima del Cremlino che punta, convincendo redazioni e caporedattori, a invitare personaggi tipo Lavrov o altri, in modo che lascino i propri messaggi agli italiani che non vedono loro di bersi le loro fregnacce, mi lascia scettico. Certo, il dibattito produce dei dubbi, per fortuna, quindi anche un Lavrov che magari dice le cose che gli interessano compie la sua azione e mette un seme nella testa di qualcuno che andava avanti col ‘pensiero unico’. Il pericolo vero è il conformismo dei commenti, la stupidità, l’attacco al libero pensiero. Il libero pensiero crea, appunto, pensiero, e un pensiero in più crea la capacità di pensare di più e quindi avvicinarsi di più alla verità delle cose, che è una grande mistero".