La donna è stata spostata di ufficio da Frosinone a Roma
Trasferita in un ufficio a 90 chilometri di distanza dalla propria sede di lavoro e dalla propria residenza, da Frosinone a Roma. Nonostante un'ordinanza del Tribunale di Roma che aveva già dato uno stop a un precedente provvedimento dell'azienda, qualificando come trasferimento il provvedimento di fittizio cambio di ruolo disposto. E' l'odissea al momento senza fine di Valeria F. lavoratrice di Manpower Srl, madre di una bambina di 4 anni, come racconta ad Adnkronos/Labitalia l'avvocato che la assiste, Michelangelo Salvagni, del Foro di Roma.
"Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 2 settembre 2019, in accoglimento del reclamo promosso da una lavoratrice nei confronti di Manpower Srl, ha qualificato -spiega Salvagni- come trasferimento il provvedimento di fittizio cambio di ruolo disposto dalla società, con il quale la stessa aveva spostato la reclamante da oltre 5 mesi presso la filiale di Roma, senza peraltro qualificarlo né come trasferimento, né come trasferta. I giudici romani hanno, quindi, dichiarato l’illegittimità del trasferimento, ordinando alla società la riammissione della lavoratrice presso la sede di lavoro di provenienza, sita a Frosinone".
Ma, spiega Salvagni, all'azienda non è bastato: "La mia assistita ha ricevuto una lettera che dispone nuovamente il trasferimento della lavoratrice a Roma, con decorrenza dal 21 ottobre 2019".
Ma l'avvocato fa un passo indietro e racconta la vicenda dall'inizio con il cambio di ruolo poi dichiarato illegittimo dal Tribunale capitolino: "Nel caso di specie, la lavoratrice, madre di una bimba di appena 4 anni, stabilmente adibita alla sede aziendale di Frosinone sin dal 2015, veniva convocata -continua- dalla società, che le prospettava una possibile risoluzione del rapporto di lavoro per dimissioni della stessa o, in alternativa, un trasferimento della propria sede lavorativa".
"Si evidenzia che gli stessi sindacati maggiormente rappresentativi sul piano nazionale segnalavano, con numerosi comunicati, l’illegittima condotta della società che, per ridurre il personale, convocava i dipendenti prospettandogli un presunto scarso rendimento al fine di indurli alle dimissioni. Al rifiuto della lavoratrice di aderire ad ambedue le soluzioni prospettatele, la società, in modo strumentale e con intento ritorsivo, dapprima, la esautorava delle mansioni svolte e del ruolo ricoperto sino a quel momento e, successivamente, disponeva con provvedimento scritto un presunto e fittizio cambio di ruolo che, quantomeno nelle intenzioni dichiarate dalla società per iscritto, non avrebbe dovuto comportare un trasferimento della lavoratrice presso la sede romana, ma solo l’eventualità che la stessa potesse recarvisi sporadicamente previa indicazione dei propri responsabili", continua ancora Salvagni.
"In realtà, a decorrere dal mese di marzo e per circa 6 mesi, la lavoratrice -spiega ancora il legale- è stata costretta a recarsi giornalmente presso la sede di Roma-Labicana, ove era stabilmente adibita in via esclusiva e continuativa, assentandosi da casa per l’intera giornata lavorativa, dovendo uscire tutte le mattine alle 6,00 e farvi rientro in tarda serata, non prima delle ore 20,00, con grave compromissione della propria funzione genitoriale".
E con un danno anche economico, sottolinea l'avvocato. "Il trasferimento, inoltre, aveva determinato -spiega- anche un significativo pregiudizio economico a carico della lavoratrice che, già intestataria di un mutuo per la residenza familiare di Frosinone, ha dovuto sostenere elevati costi di mantenimento di una baby sitter che potesse prendersi cura della figlia per l’intera giornata, nonché le spese di viaggio, peraltro mai rimborsatele dalla società, ciò determinando il sostanziale azzeramento della retribuzione mensile percepita".
"Il Tribunale di Roma, accogliendo in toto la tesi difensiva della lavoratrice, ha qualificato il provvedimento datoriale come trasferimento e ne ha dichiarato l’illegittimità in quanto sprovvisto dei necessari presupposti di legge", sottolinea.
"I giudici capitolini, in merito, hanno rilevato che la società non ha provato in giudizio, neppure documentalmente, la sussistenza di tali presupposti, né la ragione per la quale il mutamento definitivo della sede lavorativa della lavoratrice si sarebbe reso necessario. Il Collegio, infine, ha ravvisato la sussistenza di un imminente pregiudizio grave e irreparabile alla funzione genitoriale della lavoratrice che, a seguito del trasferimento, era di fatto impossibilitata a svolgere compiutamente il proprio ruolo di madre di una bimba di soli 4 anni, qualificato come diritto personalissimo e costituzionalmente tutelato in alcun modo comprimibile. I Giudici del lavoro hanno, quindi, condannato Manpower Srl alla riammissione della dipendente presso la sede di Frosinone", prima della nuova lettera di trasferimento.