"La possibilità di disporre di tecnologie innovative costituisce una condizione sempre più importante di attrattività". Ad affermarlo, ad Adnkronos/Labitalia, Mariano Corso, docente di 'Leadership e Innovation' alla School of Management del Politecnico di Milano e responsabile scientifico dell’Osservatorio Hr Innovation Practice e dell’Osservatorio Smart Working. Corso interviene sul tema dell’attrattività delle aziende nei confronti dei lavoratori in vista del Randstad Employer Brand 2019, il riconoscimento con cui Randstad - primo operatore mondiale nei servizi per le risorse umane - premia le imprese nelle quali gli italiani preferirebbero lavorare, sulla base della più completa e rappresentativa ricerca mondiale di employer branding.
"Secondo un’indagine recente svolta dall'Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano in collaborazione con Doxa, la rilevanza di questo fattore nel determinare il coinvolgimento e la motivazione dei lavoratori - spiega - è importante (61%) o addirittura fondamentale (11%). Da sottolineare come tale importanza sia sentita particolarmente dai lavoratori più anziani (Baby Boomer e Generazione X) che si aspettano questo contributo dall'azienda per la quale lavorano ancor più di quanto non avvenga per i Millennials (generazione Y), che tendono a vivere le tecnologie come strumenti personali che loro stessi si 'portano' dalla loro esperienza privata".
"La disponibilità di tecnologie innovative, inoltre, condiziona la possibilità del lavoratore - prosegue - di godere di condizioni di flessibilità nel modo di gestire il proprio lavoro. La presenza di modelli di smart working, che consentano autonomia nella scelta degli orari e dei luoghi in cui lavorare, rappresenta un fattore di motivazione ancora più importante, a tal punto da essere considerato dalla maggior parte dei lavoratori importante (59%) o addirittura fondamentale (23%). Ancora una volta, questa importanza non è sentita soltanto dai millenials, ma anzi è oggi valutata in modo ancora più attento dai lavoratori più anziani che, avendo carichi genitoriali o familiari più elevati, considerano la flessibilità una condizione ancora più imprescindibile".
E cambia, con lo sviluppo delle tecnologie, anche l'employer branding. "La rivoluzione digitale - sottolinea Mariano Corso - ha profondamente cambiato le condizioni dell’employer branding per i lavoratori, per tre motivi principali. Innanzitutto, la disponibilità di disporre di tecnologie innovative e di poterle usare per svolgere in modo flessibile e innovativo la propria mansione rappresenta un fattore di motivazione e coinvolgimento per i lavoratori che già sono all’interno dell’azienda, ma anche un fattore di attrazione per i talenti, specie per coloro che possiedono oggi professionalità digitali critiche e sempre più ricercate sul mercato. Per tali profili la disponibilità di tecnologie e modelli organizzativi abilitate da queste rappresentano ormai una condizione necessaria, una sorta di fattore che 'qualifica' l’organizzazione a poter competere come possibile datore di lavoro. Non disporne, dunque, rischia di compromettere gravemente la possibilità di attrazione e retention di talenti adeguati per sostenere le sfide del futuro".
"In secondo luogo, l’employer reputation, ossia il giudizio che dell’impresa danno i lavoratori attuali o potenziali, si forma oggi in misura sempre più sostanziale 'on line'. E’ infatti attraverso la fruizione di contenuti on line e, ancora di più attraverso l’interazione sui social network, che lavoratori e candidati si confrontano e si formano un giudizio sulla qualità dell’organizzazione, il suo impatto sociale e, in ultima analisi, sul la qualità della loro Employee Value Proposition", aggiunge.
"Infine, le aziende in grado di giocare un ruolo nell’innovazione digitale dei loro settori - sostiene - sono e saranno sempre più valutate con favore come potenziali datori di lavori in grado di far crescere il proprio valore professionale. Particolarmente interessante il caso delle startup e scaleup innovative che, a differenza di quanto avveniva in passato, vengono considerate alternative di lavoro stimolanti in grado di competere e spesso vincere in termini di attrattività, nei confronti di imprese consolidate che hanno brand tradizionali e dimensioni elevate, ma che non offrono i medesimi stimoli ed opportunità di crescita professionale".
Come afferma Mariano Corso, "l’employer branding è un fattore sempre più importante, perché consente di ingaggiare i lavoratori portandoli a mettersi in gioco con fiducia ed entusiasmo in percorsi di trasformazione digitale che chiedono sempre più di rimettere in discussione le proprie competenze e professionalità: secondo una recente ricerca del Politecnico di Milano e Assochange, l’engagement delle persone favorisce i progetti di cambiamento al punto di raddoppiarne quasi le probabilità di successo".
"Inoltre, a fronte dell’automazione e del cambiamento demografico, i prossimi anni - fa notare - vedranno una fortissima accelerazione del turnover dei lavoratori nelle organizzazioni. L’attrattività, e in particolare quella nei confronti delle nuove professionalità, diventerà allora un fattore critico di successo se non di sopravvivenza. Questo è particolarmente vero nel nostro Paese nel quale l’anzianità media dei lavoratori è molto alta e, unita alle recenti politiche governative volte a favorite il pensionamento dei lavoratori (Quota 100), porterà a un fortissimo flusso in uscita di lavoratori esperti".
"Nella sola pubblica amministrazione, ad esempio, usciranno nei prossimi anni circa 450.000 lavoratori - ricorda - che dovranno essere sostituiti da lavoratori con competenze e professionalità in grado di interpretare al meglio le nuove sfide della digitalizzazione. La competizione per attrarre e poi trattenere nuove professionalità si annuncia asprissima e potenzialmente globale vista la crescente mobilità delle persone e soprattutto di quelle con elevati livelli di istruzione".