Rientrato in Italia dopo un mese nella Striscia, il coordinatore medico dell'ospedale di al-Aqsa afferma che ''bombardare e uccidere decine di migliaia di persone per eliminare i tunnel non può essere la soluzione. Armi e tunnel negli ospedali non ne ho mai visti''.
Sono una ''demoralizzazione assoluta'', la ''mancanza di speranza'', l'''incapacità di guardare al futuro i sentimenti che regnano in questo momento'' tra i palestinesi della Striscia di Gaza. Perché ''anche se la guerra finisse in questo momento ci vorranno decine di anni per tornare a una vita normale'', d'altronde ''più del 50 per cento della Striscia è completamente rasa al suolo''. Lo spiega ad Adnkronos Enrico Vallaperta che per circa un mese, dal 18 dicembre al 20 gennaio, è stato coordinatore medico di Medici Senza Frontiere (Msf) all'ospedale di al Aqsa nel centro dell'enclave palestinese e da poco è rientrato in Italia. Oggi alla Commissione Affari Esteri della Camera ha partecipato a un'audizione parlamentare su Gaza e, grazie al suo sguardo di chi ha vissuto nella Striscia durante la rappresaglia israeliana, ha chiesto a nome di Msf ''un cessate il fuoco duraturo e di favorire il più possibile l'ingresso di materiale medico e logistico, di cibo all'interno della Striscia''. Perché ''la quantità di camion è assolutamente insufficiente a soddisfare le esigenze di 2 milioni di persone''.
Un altro ''passo necessario è evacuare i feriti perché possano ricevere le cure necessarie'' e che a Gaza non possono ricevere ''perché mancano i presidi''. In questo senso ''mi auguro che i bambini palestinesi evacuati in Italia rappresentino un primo passo. Al momento i numeri delle evacuazioni mediche sono assolutamente irrisori e dovrebbero aumentare''. Dei colleghi palestinesi di Msf a Gaza, Vallaperta racconta che ''alcuni di loro hanno dovuto cambiare rifugio anche nove volte. Continuavano a spostarsi e sono arrivati a un punto in cui non vedono più un futuro''. E ''saranno lunghissimi i tempi per ricostruire tutto il necessario e per dare le cure che servono nel lungo periodo per migliaia di persone'' ad esempio per ''le migliaia che hanno subito amputazioni''. Nonostante questo ''i medici palestinesi non smettono di impegnarsi per aiutare gli altri, mettendo anche a rischio la loro vita''.
''Bombardane e uccidere decine di migliaia di persone per eliminare i tunnel'' scavati da Hamas ''non può essere la soluzione, non è eticamente possibile''. Tra l'altro ''io non ho mai visto, i miei colleghi non hanno mai visto la presenza di tunnel o di armi negli ospedali della Striscia di Gaza'', spiega Vallaperta. Esattamente un mese fa, il 6 gennaio, Msf ha deciso di evacuare dall'ospedale di al-Aqsa ''che era assediato'' e Vallaperta era ''uno di quelli che ha evacuato''. La situazione era diventata ''troppo pericolosa per noi e per lo staff nazionale'' palestinese di Msf, con ''i combattimenti di terra a 700 metri dall'ospedale'' e ''i bombardamenti a 200 metri''.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato ''un colpo di mortaio nella terapia intensiva''. La situazione, ora, sembra essere più tranquilla tanto che, spiega Vallaperta, ''da ieri alcuni miei colleghi di Msf sono rientrati nell'ospedale di al-Aqsa per riprendere gradualmente e lentamente le attività''. Ma ''il problema più grande che c'è nell'ospedale, come per tutta Gaza, è l'assoluta mancanza di spazio. Fuori dall'ospedale per le persone per crearsi un rifugio, dentro l'ospedale per i feriti. Nell'ospedale di al-Aqsa si è passati da 240 a 700 pazienti'' oltre ai quali ci sono ''migliaia di sfollati che si rifugiano dentro l'ospedale perché lo considerano il posto meno insicuro dove stare''. Inopportuno parlare di 'posti letto' perché, spiega Vallaperta, ''non si sapeva dove mettere il paziente che subiva un intervento chirurgico'', mentre ''nel pronto soccorso i pazienti venivano gestiti per terra''