E' l'ideologia che ci aiuta ad anticipare che il conflitto in atto non è per il Donbass. Siamo di fronte a una guerra esistenziale contro l'Occidente. Kissinger sbaglia a parlare di integrazione della Russia in Europa, perlomeno fino a che Putin sarà al potere
La Russia di Putin è il "caso perfetto" per dimostrare l'inadeguatezza del modello della realpolitik nelle relazioni internazionali. Non sono i calcoli di costi e benefici a indicarci la strada per anticipare i passi di un regime, ma l'attenzione all'ideologia che promuove. E' da tempo che questo approccio non funziona più, afferma, in una intervista all'Adnkronos, Nona Mikhelidze, responsabile del programma di ricerca Europa orientale e Eurasia all'Istituto affari internazionali, partendo dalle recenti dichiarazioni di Henry Kissinger sulla necessità di integrare la Russia "al tessuto europeo"). Sulla base dell'idea di una guerra come esistenziale per la Russia di cui va parlando Vladimir Putin, "è folle pensare che questa sia una guerra sul Donbass", che sia quindi possibile, perché conveniente, un avvicinamento in Europa. "E' una guerra esistenziale in cui l'obiettivo è l'Occidente, e l'Ucraina viene usata come campo di battaglia".
"Ci stiamo ripetendo da anni queste frasi (sull'integrazione della Russia all'Europa, ndr), e magari sono adeguate alla Russia, ma a una Russia senza Putin", spiega Mikhelidze. Fino a che ci sarà lui al Cremlino, non si potrà pensare a una Russia integrata all'Europa. Putin non fa altro che negare l'idea stessa che il suo Paese appartenga all'Europa, sottolineandone il carattere euroasiatico e promuovendone l'isolamento geopolitico che si è concluso con lo scoppio di questa guerra. "Devono essere in primis i russi a voler far parte dell'Europa", sottolinea Mikhelidze, indicando nel sistema di valori l'elemento che definisce l'Europa.
L'errore commesso dall'Unione europea è stato continuare a provare a ragionare in termini del rapporto costi benefici: pensare che, malgrado quello che era accaduto in Crimea, e che continuava ad accadere nel Donbass, "più la Russia veniva inclusa in Europa, più aumentava l'interdipendenza economica, più c'era un elemento di deterrenza, perché Mosca non agisse in modo aggressivo nel suo estero vicino. "E questa strategia ha fallito". Le sanzioni introdotte dopo il 2014 sono il frutto di questo pensiero. "Non sono mai state attuate seriamente. C'erano vie di fuga. L'idea che propone Kissinger era già in atto".
"Kissinger nella sua analisi non considera mai la natura del regime. Parla della Russia solo come di un attore globale, come se la politica estera fosse totalmente scollegata dalla politica interna", precisa Mikhelidze, ricordando come, invece, la stretta attuata in politica interna da Putin sia andata di pari passo al rafforzamento della postura.
"Il fallimento del realismo nelle relazioni internazionali è proprio quello di non considerare le ideologie nel processo di definizione della politica estera. La Russia è un caso perfetto perché evidenzia come quello che viene considerato irrazionale da noi (l'intervento contro l'Ucraina per esempio, ndr) con il modello costi benefici del realismo, è perfettamente razionale se ci appoggiamo invece al costruttivismo, quindi al ruolo delle idee".
Il cambiamento in Russia che impone il nuovo modo di pensarla è iniziato nel 2012, con il ritorno di Putin al Cremlino per il suo terzo mandato da Presidente. "Putin cambia passo allora. Ma noi non abbiamo ancora accettato questo cambio di paradigma". La gente fa fatica ad ammettere che la nostra razionalità, dettata dalla realpolitik, non coincida con quello che di fatto matura in un regime.