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TikTok, Cina si opporrà "fermamente" alla vendita forzata dell'app

La risposta di Pechino alle richieste che arrivano dall'amministrazione Biden per evitare il bando negli Usa: "Da Stati Uniti nessuna prova che app minacci sicurezza"

Afp
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24 marzo 2023 | 08.56
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"Se la notizia è vera, la Cina si opporrà fermamente". Così una portavoce del ministero del Commercio cinese esprime l'opposizione di Pechino alle richieste che arrivano dall'amministrazione Biden della vendita di TikTok per evitare che la app di proprietà di una società cinese vada incontro ad un bando. Secondo la portavoce Shu Jueting questo "danneggerebbe in modo grave" la fiducia degli investitori globali negli Stati Uniti.

Inoltre ha sottolineato che ogni eventuale accordo dovrebbe avere l'approvazione del governo cinese. "La vendita o il disinvestimento di TikTok comporta un'esportazione di tecnologia e le procedure devono essere realizzate in accordo con le leggi e i regolamenti cinesi - ha detto - il governo cinese prenderà una decisione in accordo con la legge". Il governo cinese, che secondo alcuni preferirebbe vedere TikTok bandita piuttosto che cedere il suo algoritmo, avrebbe quindi potere di veto su un'eventuale vendita.

Le dichiarazioni arrivano dopo che ieri il Ceo di TikTok, Shou Chew, ha testimoniato di fronte al Congresso, mentre crescono le preoccupazioni per i legami tra la app e Pechino. E al termine dell'audizione, durata oltre 5 ore, molto congressisti hanno espresso scetticismo sulle dichiarate intenzioni della società di proteggere i dati degli utenti americani.

Per Pechino "l'amministrazione Usa non ha fornito nessuna prova del fatto che TikTok sia una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti", ha spiegato ancora la portavoce del ministero degli Esteri cinese, smentendo le accuse che la società che gestisce la app sia tenuta a consegnare i dati personali dei suoi utenti alle autorità cinesi.

Nessuna società o individuo sono stati mai costretti a consegnare dati o informazioni su altri Paesi, ha ribadito la portavoce in risposta alle accuse emerse durante l'audizione al Congresso di ieri.

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