"Circa 40mila persone vivono accampate davanti agli ospedali, cresce rischio che si diffonda il colera", racconta Jason Lee, direttore per la Ong nei Territori Palestinesi Occupati
"L'uomo che è morto faceva parte del mio team, lo conoscevo, era una persona meravigliosa. E' morto assieme ai suoi quattro bambini e a sua moglie. Il suo corpo non è ancora stato ritrovato". A parlare all'Adnkronos è Jason Lee, direttore per Save the Children nei Territori Palestinesi Occupati, raccontando le ultime tre settimane trascorse nella Striscia. Lunedì Sameh Ewaida, 39 anni, membro dello staff della Ong in Palestina, è deceduto sotto le bombe. "Con lui tutta la sua famiglia allargata, i genitori, i fratelli. L'edificio in cui vivevano è stato colpito durante un raid aereo israeliano, il suo cadavere è sepolto tra le macerie, insieme a quello dei suoi cari".
Dallo scorso 7 ottobre, quando l'attacco di Hamas contro Israele ha segnato l'inizio di un'escalation nel conflitto mai sopito in Medio Oriente, sono morti almeno 150 operatori umanitari. "Questa guerra è diversa", racconta Lee. "La catastrofe a cui stiamo assistendo dipende dal fatto che le parti coinvolte nel conflitto non stanno rispettando il diritto internazionale umanitario. I civili non vengono protetti, gli operatori umanitari non vengono tutelati. Le condizioni, a Gaza, non permettono di operare in sicurezza: questo significa che anche noi siamo sotto attacco, veniamo uccisi, non possiamo distribuire gli aiuti in sicurezza. Non abbiamo abbastanza persone, tutte le nostre operazioni sono state scoraggiate. Io, e tutto il mio team, abbiamo dovuto lasciare gli uffici di Gaza city, gli operatori sono stati ricollocati. Non ci sono le condizioni per poter fare il nostro lavoro: non salviamo più vite, non perché non vogliamo, ma perché non siamo più in grado di farlo".
Il direttore di Save the Children nei Territori Palestinesi Occupati, racconta poi le condizioni a Gaza, che ha lasciato ieri per raggiungere il Cairo. "La situazione peggiora di ora in ora. Se analizziamo l'impatto sulla popolazione è chiaro che c'è stata un'intensificazione dell'azione militare, che ha portato ad un aumento dei morti e dei feriti. I rifugi sono pieni, gli ospedali al collasso. Non c'è cibo, non c'è acqua, non ci sono bagni. Negli ultimi giorni ho visto sempre più persone piantare tende davanti alle moschee o agli ospedali, in qualsiasi posto ci fosse uno spazio. Lì le persone si sono ammassate, cercando di trovare riparo, usando materiali di plastica, pietre, pezzi di legno per costruirsi un rifugio. Abbiamo stimato che ci sono 40mila persone che vivono in tenda senza nessun tipo di servizio igienico".
Inoltre, spiega ancora Lee, sta iniziando la stagione delle piogge. "L'esposizione al freddo e alla pioggia, la mancanza di cibo, rendono il rischio di polmonite altissimo. E si tratta di una malattia che può uccidere i bambini, soprattutto se sono sotto i 5 anni. E poi c'è il rischio di colera e gli ospedali sono al collasso: non ci sono più medici e neppure medicinali, i pazienti dormono sul pavimento, le diagnosi si fanno nei corridoi perché non ci sono abbastanza stanze. Manca l'elettricità, siamo continuamente sotto attacco", conclude l'operatore umanitario.