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Libia, appello ambasciatore presso Santa Sede: "Subito un accordo, il popolo è stanco"

Libia, appello ambasciatore presso Santa Sede:
18 settembre 2015 | 11.26
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Roma, 18 set. (Adnkronos) - "Bisogna arrivare ad un accordo subito, il popolo libico è troppo stanco". Lo sottolinea all'Adnkronos l'ambasciatore di Libia presso la Santa Sede, Mustafa Rugibani. "La cittadinanza non ha servizi, manca la luce, la scuola non può ricominciare perché mancano i soldi, le ambasciate soffrono", continua il diplomatico, candidato a primo ministro alle prossime elezioni in Libia, quelle che seguiranno il negoziato al quale sta lavorando l'inviato dell'Onu Bernardino Leon con l'obiettivo di mettere d'accordo il governo di Tobruk riconosciuto dalla comunità internazionale, il cui mandato scade il 20 ottobre, e il Congresso nazionale generale di Tripoli.

"Bisogna restituire tranquillità al popolo libico allontanando e condannando i criminali - continua l'ambasciatore - Iniziando dai servizi primari, dalla scuola, la sanità, la luce che adesso è razionata. Dobbiamo fare pace tutti insieme e superare le divisioni tra le tribù che attualmente sono circa 20. Mettere insieme le varie minoranze religiose: del resto, per dare l'esempio, io sono nella storia della Libia il primo e l'unico ambasciatore ad avere scelto il Dr. David Gerbi come consigliere: un ebreo libico, perseguitato ed esiliato dalla Libia per motivi politici e religiosi dal 1967. Sono fiero di collaborare con lui, con la sua partecipazione alla primavera araba ha fatto la sua parte per portare la democrazia in Libia".

A giudizio di Rugibani bisogna includere uguali diritti per tutte le minoranze inserendole nella Costituzione, sulla quale sta lavorando un comitato di 60 persone. Per arrivare a una totale pacificazione, chiarisce. "Ci vuole un po' di tempo ma io sono ottimista credo che sia possibile. Gheddafi ha governato 42 anni azzerando la storia della Libia, ora c'è bisogno di riappropriarsi della propria storia con la propria gente".

Rugibani, esule per quasi 30 anni, dal 1979 al 2006, ha fatto parte del Consiglio nazionale di transizione nel 2011 durante la primavera araba, poi è stato ministro del Lavoro. Riferendosi all'avanzata dell'Isis e al controllo che il Califfato sta esercitando sulle due città libiche di Sirte e Derna, il candidato premier chiede aiuto alla comunità internazionale: "Noi possiamo combattere sul territorio perché i nostri militari conoscono bene il Paese, ma devono essere messi in condizione di difendersi. Le Nazioni unite devono togliere l'embargo sulle armi, devono armarci contro l'Isis e sostenerci con un supporto aereo perché i confini sono troppo vasti. La nostra divisione interna è politica e non ideologica, tutti insieme combatteremo l'Isis così come abbiamo combattuto contro Gheddafi".

Quanto al fenomeno dell'emigrazione che parte della Libia verso l'Europa, l'ambasciatore sostiene che "i barconi della morte sono gestiti da miliziani in prigione all'epoca di Gheddafi. L'emigrazione non è libica - afferma - i profughi transitano in Libia, da cui partono verso l'Italia. Attualmente sono oltre 400mila quelli pronti per partire. Il prossimo governo dovrà riprendere in mano l'accordo firmato tra l'Italia e Gheddafi ma l'Italia deve occuparsi di più della Libia, fare più fatti e meno parole visto che e' il primo partner della Libia. E gli Stati Uniti, paese principale della Nato, devono capire che la Libia e' vicina all'Italia e all'Europa e quindi non deve essere abbandonata, neppure dopo la pacificazione, anzi deve essere aiutata a stabilizzare il suo nuovo corso".

Nel caso venisse eletto primo ministro cosa intende fare come prima cosa? "Parlare con la mia gente e infondergli fiducia - rimarca- condividere il programma di governo e restituirgli la pace".

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