''L'aiuto diplomatico degli Stati Uniti è fondamentale per la sopravvivenza politica del primo ministro. Dbeibah ha chiesto all'Italia di mediare e Roma è stata felice di farlo''
Non è stato certo casuale, né tantomeno informale l'incontro avvenuto a Roma tra la ministra degli Esteri libica Najila Mangoush e il capo della diplomazia israeliana Eli Cohen. Si è trattato, piuttosto, di un ''incontro concordato sia dai libici sia dagli israeliani con l'Italia scelta come mediatrice''. In quello che dal premier libico Abdul Hamid Dbeibah è ritenuto il ''momento giusto per sfruttare la carta della normalizzazione con Israele, nonostante i rischi, per assicurarsi il sostegno politico e diplomatico degli Stati Uniti contro il tentativo di rimuoverlo''. Così Mohamed Eljarh, Managing Partner al Libya Desk Consulting, analizza con l'Adnkronos l'incontro avvenuto a Roma la scorsa settimana e che è stato reso noto da Israele scatenando la rabbia dei libici e non solo.
''E' ormai chiaro che l'incontro sia stato organizzato in precedenza e concordato sia dalla parte israeliana, sia da quella libica con l'Italia scelta come paese intermediario per facilitare l'incontro'', spiega l'analista ricordando che ''la possibilità di una normalizzazione tra Israele e il governo di unità nazionale di Tripoli è stata discussa seriamente per la prima volta nel gennaio del 2023 durante la visita del direttore della Cia William Burns a Tripoli''. Allora, prosegue Eljarh, il premier libico ''Dbeibah accettò in linea di principio l'idea della normalizzazione, ma espresse la sua preoccupazione per la potenziale reazione del popolo libico''. Facendo poi una valutazione tra rischi e benefici, Dbeibah ha deciso che ''questo fosse il momento giusto'' anche perché ''sta ora affrontando un serio sforzo per spodestarlo e sostituire il Gnu con un nuovo governo di unità nazionale''. Ancor più, nota l'analista, alla luce del recente incontro tra il capo del Consiglio presidenziale, Mohammed Menfi, il presidente della Camera dei rappresentanti, Aqila Saleh, e il generale Khalifa Haftar a Bengasi.
''Gli Stati Uniti hanno promesso di sostenere Dbeibah diplomaticamente e politicamente a condizione che avesse luogo un incontro tra Gnu e il governo israeliano'', afferma l'analista ricordando che ''inviato speciale americano in Libia, Richard Norland, sarà impegnato in un tour che includerà Il Cairo, Ankara e Bengasi per far restare Dbeibah come primo ministro in un rimpasto di governo. O almeno includerlo nei negoziati politici in corso per formare un nuovo governo'', il che significa ''riservargli un posto al tavolo dei negoziati evitando che venga messo da parte da altri attori libici''.
Una linea sposata anche dall'Italia che ''ha svolto il ruolo di facilitatore sulla base di una richiesta diretta dello stesso Dbeibah''. D'altronde, prosegue Eljarh, ''l'Italia è uno dei principali sostenitori di Dbeibah ed è uno dei principali beneficiari dei contratti aggiudicati dal governo di unità nazionale nei settori dell'energia e dell'edilizia, tra gli altri. Roma è stata felice di svolgere il ruolo di mediatore''.
La reazione popolare, come si aspettava il premier libico, non si è fatta attendere. ''E' stata forte'', spiega Eljarh, ''con le residenze di Abdul Hamid Dbeibah e (del consigliere per la sicurezza nazionale, ndr) Ibrahim al-Dbeibah attaccate e parzialmente date alle fiamme dai manifestanti. I Dbeibah ora si nascondono''. A livello politico, ''è molto probabile che i numerosi oppositori politici di Dbeibah sfrutteranno al massimo questa opportunità per cercare di spodestarlo dalla sede del potere a Tripoli''.
Se ci riusciranno davvero resta da vedere. ''Dbeibah è sopravvissuto a situazioni simili anche se meno gravi. Bisognerà aspettare e vedere se riuscirà a contenere le conseguenze di questo incidente o se sarà la sua fine politicamente'', conclude.