Parla Shin Dong-hyuk, vissuto per 23 anni in un campo di prigionia in Corea del Nord. "Adesso vado in giro, mangio e parlo liberamente, ma la mia mente ed il cuore sono sempre nel campo di concentramento dove c'era la mia famiglia e dove c'è ancora la sofferenza"
di Valeria Benincasa
di Valeria Benincasa
Dopo essere nato e vissuto per 23 anni in un campo di prigionia in Corea del Nord adesso Shin Dong-hyuk è finalmente libero, ma i ricordi e le sofferenze che ha passato li porterà sempre con lui. Shin, nato nel 1982 e sposatosi lo scorso mese in Colorado, è ambasciatore Onu per i diritti umani, nonché vincitore di moltissimi premi internazionali, tra cui il Moral courage award, e ha raccolto la sua odissea in un libro, bestseller in 29 Paesi, "Fuga dal Campo 14", di Blaine Harden, pubblicato in Italia da Codice edizioni, che verrà presentato alla Libreria ibs di Roma, venerdì prossimo alle 18. (VIDEO)
L'esule nordcoreano - figlio di due prigionieri politici, e per questo trovatosi costretto a vivere per oltre 20 anni in un campo di lavoro del regime - è l'unico uomo nato in un campo di prigionia della Corea del Nord ad essere riuscito a scappare. "Adesso vado in giro, mangio e parlo liberamente, ma la mia mente ed il cuore sono sempre nel campo di concentramento dove c'era la mia famiglia e dove c'è ancora la sofferenza", racconta all'Adnkronos dopo essere arrivato a Roma da Venezia, dove ha trascorso la sua luna di miele.
Il suo primo ricordo è di quando aveva cinque anni e, ricostruisce, "è stata la prima esecuzione pubblica alla quale ho assistito. Ricordo che ero rimasto sorpreso e spaventato dal rumore della fucilazione". Shin sottolinea che "non c'è un ricordo che non sia stato doloroso da quando sono nato nel campo di concentramento fino alla fuga", ma poi aggiunge che quello più forte "è stato quando mi hanno strappato via le unghie: sulle mie mani ci sono proprio i segni di questa tortura. Questo è stato il momento più doloroso che ricordi".
Oltre a raccontare di essere "stato preso due volte prima della fuga definitiva", Shin afferma che "ciò che contava di più per i prigionieri non era il timore della morte, ma il timore di morire di fame". "Il mio più grande desiderio e sogno - prosegue - era quello di mangiare abbondantemente. Non avevo altri desideri oltre a quello e per fortuna sono riuscito a scappare e sono ancora vivo".
Quando si trovava nel campo, lo stesso Shin ha denunciato la madre ed il fratello, dei quali ha poi assistito all'esecuzione. "Li ho sentiti parlare in cucina mentre stavano organizzando la fuga, avendoli sentiti ed essendo una delle principali regole del campo denunciare chi organizzava la fuga, ho fatto quello che ritenevo giusto fare. All'epoca non avevo idea di cosa fosse una vera famiglia e ritenevo fosse giusto fare così", ma "è un fatto che mi fa ancora soffrire e rimane sempre nella mia mente".
Secondo il rifugiato nordcoreano quanto sta avvenendo nel suo Paese è "terribile: il leader attuale ha ereditato questo regime e sta cercando di mantenerlo. Quest'anno è il 70esimo anno da quando è iniziata la dittatura in Corea del Nord e attraverso tre generazioni, dal nonno al nipote, non c'è stato un cambiamento, la dittatura c'è".