Pro e contro dell'estrazione nei fondali marini
I fondali marini sono ricchi di minerali fortemente richiesti oggi per il funzionamento di apparecchi elettronici, turbine eoliche e batterie come nichel, litio, cobalto, zinco, rame. Una ricchezza che attrae più d'una multinazionale che sta pensando di attuare estrazioni minerarie in acque profonde. Tale attività, nota come deep sea mining, consiste appunto nell'estrazione dei minerali e delle terre rare dai fondali marini oltre i 200 metri di profondità. Un'attività sempre più al centro del dibattito internazionale con riferimento a diversi temi, da quello legale a quello ambientale. Sul primo tema, infatti diverse compagnie di estrazioni hanno cominciato a fare pressione sui governi di diversi Stati e sull'Autorità Internazionale dei Fondali Marini (ISA, International Seabed Authority)) collegata all'Onu, per poter ottenere il via libera alle estrazioni e, considerando gli interessi economici che ci sono dietro, possiamo immaginare i livelli di tale pressione. In tema di ambiente, ad oggi la conoscenza degli abissi marini non permette di stabilire concretamente l'impatto delle estrazioni minerarie sugli ecosistemi e le biodiversità. Per tale motivo appare necessario dover procedere gradualmente e con attenzione.
Proprio al fine di fissare delle regole all'attività di estrazioni minerarie nei fondali marini e allo scopo di evitare che si trasformi in un'azione di sfruttamento sconsiderato dalle imprevidibili conseguenze, L'ISA sta studiando il Mining Code ovvero una sorta di codice che regoli il deep sea mining. Il codice dovrebbe indicare standard più rigorosi a cui le società di estrazione mineraria si dovrebbero attenere, fissando ad esempio dei parametri per misurare l'impatto ambientale delle attività estrattive e imponendo degli indicatori per poter monitorare lo stato dell'ecosistema marino prima, durante e dopo le estrazioni. Naturalmente, il codice dovrebbe anche includere sanzioni adeguate da applicare a seguito di eventuali inadempienze e violazioni da parte delle corporate che operano nei fondali marini. Riguardo la necessità di estrarre minerali dai fondali marini per accelerare la transizione energetica, si sono dichiarati dubbiosi o contrari non solo scienziati, attivisti e associazioni ambientaliste tra cui l'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, ma anche istituzioni governative e organizzazioni non governative. Tra queste ultime, l'Environmental Justice Foundation, ad esempio, ha affermato che la transizione verso le energie pulite potrebbe essere portata avanti senza le estrazioni minerarie in mare, ma con la combinazione di nuove tecnologie ed economia circolare, che potrebbero ridurre del 58% la domanda di minerali da qui al 2050.
In attesa di un codice di regolamentazione del deep sea mining e nonostante i forti dubbi sull'impatto ambientale, alcuni Stati si stanno muovendo nel dare il via libera all'esplorazione dei fondali marini. Prima fra tutti la Norvegia. Risale al 9 gennaio 2024 l'approvazione del parlamento norvegese di una legge che consente esplorazioni e mappatura alla ricerca di minerali nei fondali delle acque territoriali. Il Governo scandinavo ha però sottolineato che il via libera dato all'esplorazione non significa approvazione di alcuna licenza di estrazione, ma, al contrario, ha aggiunto che le attività rese lecite dalla legge saranno utili a stabilire se l'attività di estrazioni possano essere effettuate in maniera sostenibile con il minor impatto possibile per l'ambiente marino. Che la si veda in un modo o nell'altro, sembra che sia partita la corsa verso quella che a molti appare una nuova Eldorado.