I rapporti con i francesi di Essilor e quelli con i suoi Ad. L'eredità che lascia e come verrà gestita
Se c'è un uomo che ha avuto sempre un rapporto stretto con il proprio potere è Leonardo Del Vecchio. Qualsiasi profilo o ricostruzione della sua lunga carriera imprenditoriale non può prescindere da questa chiave di lettura: ha costruito il suo potere personale sull'attività imprenditoriale, l'ha fatto crescere nel tempo e l'ha difeso fino all'ultimo giorno. L'ha esercitato nei confronti del sistema, quello industriale e anche quello finanziario, fino alla grande partita sulle Generali; verso gli amministratori con cui di volta in volta ha tentato di convivere, a partire da Andrea Guerra; verso i soci francesi di Essilor, con cui non ha mai rinunciato allo scontro in campo aperto; verso i suoi figli, nella sempre complicata gestione dei passaggi generazionali.
Su ognuno di questi fronti, Del Vecchio ha esercitato una leadership indiscutibile. Ha fatto crescere le sue imprese, ha accumulato una ricchezza enorme, ha anche commesso qualche errore. L'ha sempre fatto, però, nella stessa maniera, fidandosi soprattutto di se stesso.
Il passo più ambizioso, ma in fondo anche più sofferto, è stato il matrimonio che ha portato all'aggregazione della sua Luxottica e di Essilor, in Essilux. Per costruire il più grande produttore mondiale di occhiali ha rinunciato a molto, e forse non l'ha mai accettato fino in fondo: “Ho investito la mia fortuna, frutto di 70 anni di lavoro, ho dato il mio 62 per cento di Luxottica in cambio del 32 per cento di Essilor Luxottica”, sintetizzava in una importante intervista concessa a Le Figaro. In quella occasione, sono passati pochi mesi dall'inzio del 2019 e il debutto alla Borsa di Parigi di Essilux è di novembre 2018, emergono le ragioni all'origine di uno scontro sulle nomine e di una lotta di potere per mettere i propri uomini nei posti di comando. Uno scontro anche di personalità con Hubert Sagnières, Ceo di Essilor e che, come succede quando si uniscono grandi realtà, voleva imporre la sua visione a chi aveva sempre riposto una fiducia illimitata nella propria visione.
C'è anche Essilor dietro le ragioni che hanno portato nel 2014 al rumoroso divorzio tra Luxottica e l'uomo che l'ha guidata nei dieci anni precedenti, Andrea Guerra. Del Vecchio aveva rinunciato, su consiglio del suo Ad, al piano di fusione con il gigante delle lenti francesi, procedendo quindi ad una collocazione sul mercato di altri titoli Luxottica, rivelatasi poi infelice. E non è un caso che, senza Guerra, si sia andati rapidamente verso Essilux. L'imprenditore veneto aveva anche digerito male i rapporti stretti tra Guerra e Matteo Renzi, che secondo diverse indiscrezioni era pronto a portarlo al governo come ministro dello Sviluppo economico.
Il post Guerra ha visto succedersi diversi capi azienda, fino all'ascesa di Francesco Milleri. La sua nomina ufficiale, a dicembre del 2017, è arrivata dopo un percorso singolare. Vicino di casa di Del Vecchio, in ottimi rapporti personali anche attraverso le due famiglie, nasce come fornitore, diventa consulente e poi vive alcuni anni da 'amministratore delegato ombra', prima con Enrico Cavatorta (che nel ruolo di Ceo dura un mese), poi con Adil Mehboob-Khan (un anno) e Massimo Vian. Milleri diventa l'uomo di Del Vecchio e resta protagonista fino a oggi. E' lui che ha raggiunto l’accordo con Essilor in soli 15 giorni e, come ha rivelato lo stesso Del Vecchio, è previsto nel contratto scritto con i francesi che sarebbe stato lui a sostituirlo nel caso fosse venuto a mancare. Ora, molto probabilmente, dovrebbe prendere anche la presidenza della holding di famiglia Delfin, che era di Del Vecchio, sommandola alla carica di Ceo di Essilor Luxottica.
L'altro capitolo che riporta direttamente all'interpretazione del potere, e dei rapporti di potere, che aveva Del Vecchio è quello che riguarda la gestione del patrimonio e la partita dell'eredità. La società che detiene tutte le partecipazioni azionarie e la liquidità di Leonardo Del Vecchio è proprio Delfin, con sede a Lussemburgo, amministrata da Romolo Bardin. Leonardo Del Vecchio possedeva a suo nome il 25% della Delfin, che alla sua morte è passata alla moglie Nicoletta Zampillo; il restante 75% è stato diviso equamente tra i sei figli (12,5% a testa). Anche queste partecipazioni sono state sotto il diretto controllo di Leonardo Del Vecchio che ne ha detenuto l'usufrutto fino alla morte.
Diverso il discorso sul piano dell'eredità imprenditoriale. Del Vecchio ha avuto sei figli da tre donne diverse. Claudio, Maria e Paolo sono figli della prima moglie, Luciana Nervo. Con la seconda (e poi terza) Nicoletta Zampillo, ha avuto Leonardo Maria, che secondo diversi osservatori potrebbe essere il prescelto guidare le scelte strategiche del gruppo nel futuro. Tra le seconde e terze nozze con Zampillo, ha avuto Luca e Clemente con Sabina Grossi.
Del Vecchio è stato, fino alla fine, un grande industriale e un accentratore di potere, e di responsabilità. E' stato anche capace di costruire un sistema aziendale capace di sopravvivergli. Ma ora, senza di lui, c'è comunque un vuoto da colmare.
(di Fabio Insenga)