Gli italiani aderiscono sempre di più all’iniziativa del governo che rimborsa una parte delle spese fatte con moneta elettronica. Ma per ogni pagamento senza contanti vengono pagate delle commissioni alla banca da parte dei negozianti. Ma quanto costano agli esercenti queste commissioni? Abbiamo fatto i calcoli: per un cappuccio e brioches al bar si può arrivare anche a 50 centesimi. E' quanto emerge dall'inchiesta di Altroconsumo sulle commissioni relative ai pagamenti digitali. Lo Stato, rileva l'associazione dei consumatori, incoraggia gli italiani a non usare il contante perché vuole aumentare i pagamenti digitali strumento importante per combattere l’evasione fiscale e ridurre i costi connessi alla gestione del denaro contante. E per incentivare gli italiani a lasciare nel portafoglio l’amato contante ha messo a punto il programma di cashback e la lotteria degli scontrini. Il 'Piano Cashless' prevede anche tetti più bassi all’uso del contante dal primo luglio del 2020, il limite oltre cui non è possibile usare il contante per i pagamenti sceso da 3mila a 2mila euro e arriverà a mille dal 2022.
Con il cashback lo Stato rimborsa il 10% di quello che spendiamo con le carte di pagamento (fino a un massimo di 150 euro a semestre) e con la lotteria degli scontrini mette in palio vincite da 100 mila euro per i cittadini e da 20mila euro per i negozianti purché paghino con bancomat o carta. Insomma, i consumatori sono incoraggiati a pagare con la moneta elettronica anche il caffè. Ma è possibile davvero?
Purtroppo, osserva Altroconsumo, "sono ancora tanti gli esercenti e i professionisti che non accettano di essere pagati con carta, a dispetto di una normativa del 2014 che li obbligherebbe a farlo. Ma se non sono previste sanzioni verso i trasgressori, è difficile far rispettare le regole. Non solo. Viene troppo spesso disattesa la direttiva, recepita in Italia nel 2018, che impedisce l’applicazione di sovrapprezzi legati ai pagamenti digitali. Il piano cashless non piace altrettanto agli esercenti visto che ogni volta che accettano la nostra carta di pagamento hanno una commissione da pagare alla banca. Una commissione salata soprattutto per i bassi importi e per i piccoli esercenti".
Se da un lato lo Stato incentiva i cittadini a pagare con strumenti digitali, dall’altro, rileva l'associazione, "ci sono gli esercenti che lamentano commissioni troppo alte a loro carico. Del resto, capita ancora di leggere cartelli alla cassa che dicono 'Non si accettano pagamenti con carta per importi inferiori a un tot di euro' o durante i saldi. Questa situazione fa sì che si giunga al paradosso che un cittadino iscritto al programma di cashback - incentivato quindi dallo Stato a usare il più possibile la sua carta di pagamento anche per i piccoli importi - si veda applicare a sua insaputa dal tabaccaio una commissione quando paga con carta una ricarica telefonica da 15 euro. Il tabaccaio non fa altro che scaricare sul cliente il costo della commissione di incasso che è costretto a pagare alla banca per l’uso del Pos. Non è certo un caso isolato. Ci stanno arrivando molte segnalazioni sull’applicazione di sovrapprezzi se si paga con carta. Una pratica illecita che abbiamo portato all’attenzione dell’Antitrust.
Il problema delle commissioni, però, c’è e riguarda soprattutto i piccoli esercenti che non hanno la forza contrattuale delle catene della grande distribuzione che possono giocare sull’elevato volume di transazioni per contrattare la riduzione delle commissioni.
Quanto costa ai negozi farci pagare con la carta? Altroconsumo ha fatto qualche calcolo per capire quanto costa a un esercente farci pagare cashless considerando i principali acquirer italiani (le società che gestiscono i Pos) e basandoci sulle informazioni indicate nei foglietti informativi. Per esempio, se paghiamo con il bancomat la colazione al bar (4,50 euro), il negoziante può lasciare alla banca in commissioni anche fino a 50 centesimi, più del 10% della cifra incassata. Una cena da 90 euro pagata con carta di credito può costare alla gastronomia quasi 4 euro di commissioni. Ma questa è solo la punta dell’iceberg perché alle commissioni sul singolo pagamento si aggiungono le diverse centinaia di euro versate ogni anno per la gestione e la locazione del Pos.
Altroconsumo ha provato a pagare con la carta di credito in diversi negozi e constatato che si pagano troppe commissioni. Nell’articolo su Intasca trovi la tabella con le informazioni complete. Qui l’articolo completo. Il governo è consapevole del problema e, per alleviare il peso delle commissioni, dal primo luglio dello scorso anno ha introdotto il cosiddetto “bonus Pos”, un credito d’imposta del 30% sulle spese pagate dagli esercenti per accettare pagamenti con carte, bancomat e altre modalità di pagamento digitale. Un’agevolazione valida solo per chi fattura meno di 400 mila euro l’anno. Il problema è che il credito di imposta funziona ex post e soprattutto va a ridurre le tasse da pagare che, in questo momento storico, sono state posticipate o sono poche.
Nel decreto fiscale DL 124/2019, però, è previsto, per i pagamenti effettuati in modalità digitale a partire dal 1° luglio, un credito d'imposta del 30% sulle spese pagate dagli esercenti per accettare pagamenti con carte, bancomat e altre modalità di pagamento digitale (ad esempio le app); una dosposizione che vale solo per gli esercenti che fatturano meno di 400 mila euro l'anno.
Ma su cosa si applica il credito d’imposta? Chi ne ha diritto e come funziona nel dettaglio? rientrano nella definizione di commissione su cui si può beneficiare del credito di imposta sia le commissioni pagate dall’esercente su ogni transazione, sia i costi fissi ad esempio i costi di gestione e locazione del Pos; Sono ricomprese le spese sostenute dagli esercenti per tutti i pagamenti digitali fatti da consumatori, quindi non solo con le tradizionali carte di credito, di debito e prepagate ma anche le spese di sistemi alternativi come ad esempio Satispay e simili; vale per tutti gli esercenti, artigiani e professionisti, sia per pagamenti online che fisici avvenuti dal 1 luglio 2020 in avanti, purché gli esercenti, nel corso dell’anno d’imposta precedente, abbiano conseguito ricavi e compensi per un importo non superiore a 400.000 euro; gli esercenti utilizzatori del credito di imposta sono tenuti a conservare la documentazione relativa alle commissioni addebitate per le transazioni effettuate con strumenti elettronici di pagamento.
Tale documentazione deve essere messa a disposizione, su richiesta, degli organi dell'amministrazione finanziaria, e conservata per un periodo di 10 anni dall’anno in cui il credito è stato utilizzato; il credito d'imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione rispetto alle tasse da pagare, a decorrere dal mese successivo a quello di sostenimento della spesa e deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta di maturazione del credito e nelle dichiarazioni dei redditi relative ai periodi d'imposta successivi fino a quello nel quale se ne conclude l'utilizzo.
L’Agenzia delle Entrate ha emanato il 29 aprile 2020 un suo provvedimento che regolamenta il funzionamento del credito di imposta del 30% previsto dall’articolo 22 comma 6 del decreto fiscale del 2019; in particolar modo disciplina le comunicazioni obbligatorie che banche ed istituti di pagamento devono inviare all’Agenzia dell’Entrate ai fini del credito di imposta da riconoscere agli esercenti che hanno con loro una convenzione per accettare pagamenti digitali. Le comunicazioni devono essere fatte entro il 20 del mese successivo a quello in cui sono stati effettuati i pagamenti digitali da un consumatore. Banca d’Italia con un provvedimento del 21 aprile 2020 ha inoltre regolamentato le comunicazioni che banche e istituti di pagamento devono inviare periodicamente agli esercenti sulle commissioni pagate affinché sappiano quale credito d’imposta spetti loro. Le comunicazioni devono essere inviate entro il 20 del mese successivo a quello in cui sono state effettuate dai consumatori le spese pagate in modalità digitale.
Che fare allora? La soluzione potrebbe essere di azzerare le commissioni di incasso per i pagamenti inferiori ai 10 euro. In questo modo si favorirebbe l’accettazione dei pagamenti digitali dando una scossa al mercato. D’altra parte, l’esperienza di app di pagamento come Satispay dimostra che con commissioni basse (nessuna sotto i 10 euro e una fissa di 20 centesimi sul resto) ed eliminando il costo fisso del Pos, i piccoli esercenti si avvicinano ai pagamenti digitali. Insomma, sostiene l'associazine dei consumatori, bisogna ripensare le commissioni sui pagamenti digitali per renderli sostenibili anche per i piccoli esercenti. I consumatori dal canto loro devono poter usare la carta sempre.