Al Palazzo delle Esposizioni una grande retrospettiva - aperta fino al 28 gennaio - ricostruisce una carriera eccezionale, scandita da immagini che hanno fatto storia raccontando la Storia, dal Muro di Berlino al Vietnam, dall'Ulster al Biafra
Sei sale, sei sezioni e altrettanti momenti di una lunga carriera fotografica, ma che in tutte le 250 immagini in mostra - anche nelle più 'tranquille', come le nature morte o i paesaggi della campagna inglese - propone la stessa tensione e la stessa sincerità. E' una rassegna senza filtri, ne' tantomeno 'abbellimenti' quella di Don McCullin che si è appena aperta al Palazzo delle Esposizioni di Roma (dove resterà fino al prossimo 28 gennaio).
Fotografo di guerra fra i più grandi del nostro tempo, McCullin in realtà è qualcosa di più di un testimone di conflitti e atrocità. In questa prima grande retrospettiva in Italia - che si riallaccia idealmente, ampliandola, all’antologica del 2019 della Tate Britain - si testimonia un percorso iniziato ritraendo il suo mondo, una Inghilterra urbana ma subalterna, dai senzatetto ai margini della 'Swingign London' ai giovani delle gang metropolitane
Quindi il grande balzo nell'attualità, con un viaggio nella Berlino dove si sta costruendo il Muro, separando due mondi. E poi l'Ulster, il Vietnam, Cipro in guerra, il Biafra, il Kurdistan represso da Saddam. Un lavoro che è un 'altare' a un fotogiornalismo che non esiste più, sostituito da altre testimonianze, magari più dirette come le immagini scattate con i cellulari o i video ripresi dalle telecamere di sorveglianza. Ma che non possono avere la stessa forza dell'immagine fermata dallo sguardo di un reporter, di una foto che si inserisce in un lavoro di ricerca e che riflette la formazione e le ambizioni di chi la scatta.
Per questo è utile e importante il lavoro compiuto con la grande retrospettiva di Roma (che accompagna l’uscita del libro 'Don McCullin: Life, Death and Everything in Between', pubblicato da GOST Books) che è anche un racconto umano e artistico. Nelle sei sale si segue in una cronistoria pubblica e privata la discesa agli inferi del fotografo inglese e il suo tentativo di venirne in qualche modo fuori, prima con la serie dedicata all’Impero romano, avviata negli anni Duemila, e in parallelo con il lavoro da paesaggista della campagna del Somerset.
McCullin fotografa monumenti e brughiere come se stesse provando a tenere distanti i fantasmi. Ma - come confermano i drammatici bianchi e neri 'wagneriani' - è un compito impossibile. Nelle didascalie che accompagnano la mostra il fotogrado confessa di essere "stufo" di sentirsi in colpa per gli orrori ritratti. "Non ho ucciso quell'uomo nella fotografia, non ho fatto morire io di fame quel bambino", si dice , spiegando che è "per questa ragione che voglio fotografare paesaggi e fiori". Ma al tempo stesso - aggiunge - "a volte, mentre cammino nelle brughiere... mi sembra di essere sulla strada di an Loc in Vietnam, e di sentire i gemiti dei soldati sul ciglio". "Anch'io sto combattendo dentro di me per lasciar andare il passato" confessa, sapendo che è un compito quasi impossibile. Scattare una foto significa fermare il tempo e farne un ricordo: e, che piaccia o meno, i ricordi sono per sempre.