Il racconto all’Adnkronos di Gian Franco Svidercoschi, decano dei vaticanisti di origini polacche
Tra i più grandi motivi di rammarico di Wojtyla c’è il mancato pentimento di Alì Agca, militante turco dei ‘Lupi grigi’ che il 13 maggio di quaranta anni fa in piazza San Pietro sparò a Giovanni Paolo II. Lo racconta all’Adnkronos Gian Franco Svidercoschi, decano dei vaticanisti di origini polacche e amico di Wojtyla. "Agca è un bugiardo seriale, ha raccontato più di 50 versioni - dice Svidercoschi - . E’ riuscito a mettere in mezzo anche il sequestro della Orlandi che non c’entrava nulla con l’attentato e gli hanno pure creduto".
Svidercoschi parlò varie volte col Papa polacco dell’attentato: "Quello che gli rimaneva sull’anima era il fatto che Agca non avesse mai pronunciato una parola di pentimento, nessuna richiesta di perdono. Il Papa andò a Rebibbia ad incontrarlo ma la prima cosa che gli disse fu: ‘Io ho mirato giusto, perché lei non è morto?’".
Restano quaranta anni di misteri. "Sono misteri ma c’è una linearità incredibile in quello che è successo - osserva Svidercoschi -. I binari erano due: uno era l’atteggiamento dei governi dei grandi capi, l’altro era il comportamento del Kgb, non tanto riferito ai capi quanto ad una serie di scatole cinesi". Sulla verità processuale Svidercoschi osserva: "Di certo in piazza San Pietro quel 13 maggio Ali Agca era solo. Lo ha detto al Papa: 'Io ho mirato giusto’. Insistendo su quell’io per ribadire il fatto che non c’era nessun altro. Non c’entra né la pista islamica né la pista bulgara. C’è invece la mano del Kgb dietro l’attentato".