L'ordinanza: estrapolati solo fatti ad effetto emotivo, intenzione di creare spettacolo
Mons.Alberto Perlasca, il teste chiave nell’ambito del processo in Vaticano per lo scandalo finanziario legato alla compravendita del Palazzo londinese che ripartirà a fine settembre, si è aggiudicato il primo round presso il Tribunale di Como nella causa contro il Corriere della Sera, per la diffusione non autorizzata del video del suo interrogatorio nell'ambito delle indagini presso il Tribunale Vaticano. Nel dettaglio, nell’ordinanza del Tribunale di Como, di cui riferisce l’Adnkronos, il giudice, accogliendo il ricorso dei legali di Perlasca, dice che è stata operata una "selezione chirurgica" con l’intenzione di "creare spettacolo".
"Sarà compito del giudizio di cognizione valutare nei particolari, - scrive il giudice Agostino Abate - ma in tema di fumus è rilevante che parte resistente ritenga di interesse pubblico mostrare di un video di ore solo i brevi passi ove l’esaminato mostri coinvolgimento emotivo o difficoltà a rispondere a determinate domande". In verità, il giudice dice che "dalla visione del video e dei commenti didascalici degli autori, non è stato in grado di comprendere quali fossero, neanche a grandi linee, i fatti-reato oggetto del processo nello Stato estero, certamente per propria incapacità. Lo scrivente ha colto, come appunto dicono di aver voluto gli autori del servizio, solo la difficoltà emotiva dell’esaminato, del resto scontata visto che si trattavano argomenti, mai precisati nei dettagli, ma che si intuisce coinvolgenti suoi superiori".
Nell’ordinanza si evidenzia invece che "elemento rilevante è che il filmato di cui si discute non è quello dell’esame del teste realizzato dal Promotore di Giustizia, ma quello creato dalla parte resistente operando una chirurgica selezione di pochi minuti da diverse ore di registrazione, decidendo cosa fosse rilevante e cosa no e soprattutto operando un montaggio, corredato da commenti, che ha ammesso finalizzato a realizzare uno ‘scoop’. Tale scelta non permette di sapere quale sia stato l’atteggiamento dell’esaminato nelle restanti ore di registrazione e quindi di compiutamente valutare il senso di quei pochi minuti di imbarazzo mostrati, a riprova della mancata doverosa informazione pubblica. La connotazione negativa della persona esaminata è amplificata dalla errata indicazione che fosse indagato, quando invece era già stata archiviata la sua posizione".
Nell’ordinanza si annota che "la decisione di ricavare poco più di dieci minuti da un filmato di diverse ore, estrapolando solo i passi a effetto emotivo, senza curarsi di dare alcuna informazione sui fatti di cui trattava quell’esame e il processo in corso, pone la pubblicazione oggettivamente fuori dalla tutela da accordare al diritto di informazione, che deve trovare limiti nel rispetto della riservatezza e dell’onore delle persone interessate, comprese quelle poi dichiarate colpevoli, che possono sacrificate solo per l’interesse pubblico di conoscere fatti veramente accaduti e rilevanti. Nel filmato in esame non vengono fornite informazioni, se non frasi isolate, perché il fine dichiarato è di mostrare solo l’imbarazzo di una persona nel rispondere a domande delicate in sede istruttoria, e ciò non è considerabile oggettivamente di interesse pubblico al punto da prevalere sul rispetto dei diritti della persona. L’intenzione di creare solo spettacolo emerge anche dalle definizione della sala che viene presentata come arredata con ‘un tavolaccio da caserma’ e ‘un armadio a vetro pieno di fucili’. In un set cinematografico tali arredi sarebbero funzionali a ricostruire una "segreta mediovale" capace di riversare la sua area infausta sul ruolo dell’esaminato. Lo scrivente - scrive il giudice nell'ordinanza - non ritiene possibile immaginare che due professionisti e lo staff dirigenziale del maggiore quotidiano nazionale possano aver confuso così clamorosamente quello che è invece chiaramente un austero, ma elegante, locale usato per l’esame, impreziosito da un tavolo d’epoca e nobilitato alle pareti da mobili espositivi di antiche armi altrettanto d’epoca appositamente illuminate da luci interne d’esposizione. La conclusione è che la descrizione del locale e dell’arredo è volutamente errata perché funzionale a colorare ancor più il breve video, rimarcando il giudizio negativo che si vuole suggerire della persona dell’esaminato".
Il giudice ritiene poi "non accoglibile in alcun modo" la tesi proposta dalla parte resistente - Corsera - nella nota infine depositata, ove si legge in riferimento all’archiviazione della posizione già avvenuta: ‘Non esattamente un encomio solenne e, soprattutto, la conferma di un ruolo fondamentale del ricorrente nella vicenda e senza il quale, sia pure senza il suo doloso concorso, i reati contestati non avrebbero potuto esser commessi.’ Se si accettasse il principio sottostante a tale affermazione - scrive il giudice-si cancellerebbero principi fondamentali di garanzia e di presunzione di innocenza, faticosamente raggiunti nei secoli e spesso ancora oggi messi in discussione. Il Giudice penale, così come quello civile per i suoi fini istituzionali, non deve dare encomi o emanare reprimende, bensì solo giudicare se sussistono estremi di responsabilità personale per lo specifico reato ipotizzato. Dalla nota della parte resistente traspare, non trattenuta, un’apodittica e infondata affermazione di colpa perché a suo giudizio il ricorrente, anche se non ha concorso nel reato, deve in qualche modo comunque essere ritenuto colpevole. Tale tesi è coerente con lo spirito del servizio giornalistico che oltre ad avere selezionato attentamente quei minuti di imbarazzo emotivo, integra il filmato realizzato con commenti, quindi opinioni personali non coperte dal dovere di cronaca, che il ricorrente definisce a ragione diffamatori".
Il Tribunale di Como osserva quindi che "la diffusione sul web a opera del maggiore quotidiano nazionale di un filmato così fatto che contiene attribuzioni di qualifiche negative, oggi da parte resistente riconosciute come false, è sicura fonte di ulteriore danno all’immagine e all’onore del ricorrente, oltre quello già realizzatosi, e la sua gravità può essere fronteggiata solo con l’accoglimento della domanda. Da sottolineare che la decisione di parte resistente di pubblicare il video anche al di fuori della propria piattaforma è ulteriore causa di danno, per la certa maggiore diffusione della notizia diffamatoria". Da qui l’ordine del Tribunale di Como "a RCS Mediagroup S.p.A. di rimuovere e/o far rimuovere immediatamente dalla piattaforma telematica www.corriere.it, nonché da ogni ulteriore piattaforma telematica e/o sito web di propria competenza o ad essa riconducibili, i contenuti audiovisivi relativi agli interrogatori di Mons. Alberto Perlasca". Disposizione estesa a tutte le piattaforme sulle quali è comparso il video della deposizione di Perlasca.