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Vaccino Covid, Remuzzi: "Una dose a più persone, rinviare i richiami a 120 giorni"

Per il direttore dell'Istituto Negri Irccs è necessario "produrre vaccini in Italia"

(Afp)
(Afp)
12 gennaio 2021 | 08.24
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"Stiamo andando bene, perché esistono già tre vaccini sicuri ed efficaci e presto ne arriveranno molti altri. Ma se non facciamo tutti uno sforzo in più, non è certo che finirà bene, per lo meno a breve termine". Lo spiega Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs, che in un'intervista al 'Corriere della Sera' riflette sulle strategie necessarie a ottimizzare la campagna di profilassi anti-Covid: produrre vaccini in Italia, consiglia l'esperto, e iniziare a somministrare una dose a più persone, rinviando la seconda iniezione a 120 giorni dopo la prima.

La premessa di Remuzzi è che, "anche quando funzionano, i lockdown mascherati e le zone di diverso colore sono pur sempre l'ammissione di un fallimento nella lotta al virus. Il vaccino invece è la soluzione. Insieme all'immunità naturale, ma quella nessuno può dire quando arriverà". Ecco perché "non bisogna perdere un minuto - esorta il medico - Stiamo vaccinando 400mila persone alla settimana. Immaginiamo pure di arrivare a 700mila. Non basta. Se in Italia le cose dovessero andare come stanno andando in Inghilterra o in Germania" in termini di numero di contagi, "rischiamo i mille morti al giorno. L'obiettivo di arrivare a 50 milioni di persone vaccinate entro la fine di marzo è utopico. Ma abbiamo il dovere di credere che sia possibile. E poi serve una strategia a medio termine. Altrimenti il tema dei vaccini ce lo porteremo dietro per anni".

Per Remuzzi "il primo problema è la produzione. Pfizer ha già detto che non ce la fa a coprire il fabbisogno - ricorda - Bisognerebbe estendere l'accordo che AstraZeneca ha fatto con Serum Institute of India ad altre compagnie, e mettere insieme tutti i siti produttivi del mondo. Oltre che in India e in Cina, ce ne sono in Sudamerica, Usa, Germania e la Francia si sta attrezzando. Insieme si possono fare miliardi di dosi, e un piano affidato all'Oms e alle organizzazioni internazionali dei vaccini permetterebbe di far arrivare il vaccino dove serve di più". E l'Italia? "Abbiamo un'industria farmaceutica che ci colloca al primo posto in Europa e fra i primi al mondo dopo India e Cina: fabbrichiamo l'11% della produzione mondiale di farmaci. Ma siamo fuori da questo gioco enorme" e "mi chiedo: ma in questa discussione sul Mes, non si trovano 2-3 miliardi da destinare a un sito italiano capace di produrre i vaccini?".

Quella auspicata dal direttore dell'Irccs fondato e presieduto da Silvio Garattini non è un'autarchia vaccinale. "Al contrario - precisa - Si tratta di partecipare a uno sforzo globale in cui ogni Paese mette a disposizione la propria capacità produttiva". Perché "essere solo finanziatori e acquirenti, e non produttori in senso stretto, ci mette in una posizione di debolezza rispetto agli altri. Non riusciamo a contribuire. Se gli altri Paesi fossero come noi, non ci sarebbe alcuna disponibilità di vaccini. Servono orgoglio e lungimiranza. Da qui ad aprile si gioca molto del nostro futuro prossimo".

Intanto si aspetta il via libera dell'Ue al vaccino AstraZeneca. "Lancet ha pubblicato al riguardo un lavoro convincente - sottolinea Remuzzi - Zero casi di Covid grave in quelli che hanno fatto quel vaccino rispetto a chi ha fatto il placebo. In sostanza, abbiamo tre vaccini sicuri ed efficaci. Se l'Ema approva AstraZeneca, in Italia ci avvicineremmo ai 15 milioni di dosi per i prossimi mesi. Questo è lo scenario più favorevole. Ma non sono sicuro che basti, soprattutto se si fanno due dosi ravvicinate. Stiamo entrando in una delle fasi più delicate della pandemia". Per questo, secondo l'esperto è "meglio vaccinare un grande numero di persone con una dose singola che un piccolo campione con due dosi. Si può ipotizzare di non fare il richiamo prima che siano passati 120 giorni. Il livello di protezione indotto dalla prima dose del vaccino è comunque molto alto". La seconda dose "bisogna farla, ci mancherebbe - puntualizza - Ma non c'è evidenza che fare il richiamo subito o dopo qualche mese sia diverso".

"Alcuni lavori scientifici, ultimo quello appena pubblicato sul New England Journal of Medicine e riferito al vaccino Pfizer, e la presa di posizione del comitato inglese su vaccini e immunizzazione - riporta l'esperto a sostegno della sua proposta - dimostrano come la quasi totalità dei contagi avviene nei primi 10-12 giorni dalla somministrazione della prima dose. Dopo si ha una protezione molto alta, fino al 90%".

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