Il commento di Garattini, Bassetti, Minelli e Pregliasco all'Adnkronos Salute
Vaccini Pfizer e Moderna, tra la prima e la seconda dose si raccomanda in Italia un intervallo di 42 giorni. La nuova indicazione del Comitato tecnico scientifico per l'emergenza coronavirus, resa nota il 5 maggio scorso, è contenuta nel parere allegato a una circolare del ministero della Salute. Ma cosa ne pensano gli esperti?
"L'obiettivo è vaccinare più persone possibili con la prima dose. Quindi la scelta di spostare a 42 gironi il richiamo per Moderna e Pfizer va bene", afferma all'Adnkronos Salute Silvio Garattini, fondatore e presidente dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs. "Abbiamo visto che in altri Paesi la scelta ha funzionato - aggiunge il farmacologo - Ricordiamoci che fare la seconda dose è molto importante soprattutto negli anziani. Ma si possono aspettare anche 42 giorni".
"Allungare a 42 giorni il richiamo per i vaccini Pfizer e Moderna è una scelta di buon senso. Spostando la seconda dose si consente di vaccinare il doppio di delle persone, senza rischi perché la copertura dopo la prima dose è molto alta. Dal Cts e dall'Aifa è arrivata una decisione molto ragionevole", dice quindi all'Adnkronos Salute Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova e componente dell'Unità di crisi Covid-19 della Liguria.
"Ritardare la seconda dose dei vaccini a mRna può andar bene come rimedio estemporaneo, ma evidentemente con le dovute, necessarie distinzioni, proprio perché la medicina personalizzata ci impegna a pensare e a considerare nei fatti che, anche nei confronti del coronavirus, non ci sono misure standard perché non siamo davvero tutti uguali", sottolinea quindi all'Adnkronos Salute l'immunologo Mauro Minelli, responsabile per il Sud della Fondazione italiana di Medicina personalizzata.
"Esperienze di prolungamento della seconda dose sono state realizzate in altri Paesi che hanno fin qui sostenuto campagne vaccinali allargate ed efficaci", ricorda l'esperto, e "ci dicono che la dilazione è, in linea di massima, fattibile, tanto più in un momento in cui, a fronte di scorte insufficienti, c'è bisogno di estendere l'immunoprotezione a una platea di persone la più ampia possibile. Tuttavia, potendolo fare, la misura - per quanto concettualmente valida - dovrebbe tener conto del fatto che quella platea non è fatta di soggetti tutti uguali, visto che sempre di più ci accorgiamo che non tutti i vaccinati rispondono all'immunoprofilassi con una valida produzione di difese misurabili. E che possano esserci i meccanismi dell'immunità innata, a supplire un'eventuale deficit di quella umorale deputata alla produzione di anticorpi circolanti, è un'ipotesi che, seppur fondata, potrebbe risultare ugualmente sottoespressa nei soggetti immunologicamente fragili".
"Il che potrebbe voler significare una sostanziale inutilità della prima dose nel momento in cui, non rispettando le indicazioni emerse durante la fase di sperimentazione, la seconda dose dovesse essere distanziata di tanto dalla prima", conclude Minelli.
"E' una presa d'atto utile in termini strategici per incrementare la vaccinazione perché è importante aumentare la platea dei vaccinati". Così Fabrizio Pregliasco, virologo dell'Università di Milano commenta all'Adnkronos Salute l'indicazione del Cts. "Il dato di allungamento era stato già in qualche modo evidenziato e anche per quanto riguarda la pratica reale su altre vaccinazioni dell'infanzia - ricorda Pregliasco - l'abbiamo sempre fatto e ha dato buoni risultati". Con i due vaccini anti-Covid a Rna messaggero "a 14 giorni dalla prima dose, come confermato da diversi studi - spiega il virologo - c'è già un'ottima capacità protettiva e il buster serve per allungare la protezione nel tempo".
"Non ci sono in questo momento sufficienti basi scientifiche che giustifichino" l'estensione a 42 giorni dell'intervallo tra la prima e la seconda dose dei vaccini anti-Covid a mRna (Pfizer/BioNTech e Moderna). "Potrebbero esserci rischi di non adeguata copertura", specie per alcuni pazienti, spiega quindi all'Adnkronos Salute Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell'ospedale Sacco di Milano.