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'Mio figlio come Charlie, ma vive ed è felice'

(Foto dalla pagina Facebook 'Charlies Fight')
(Foto dalla pagina Facebook 'Charlies Fight')
02 luglio 2017 | 15.26
LETTURA: 3 minuti

"Mio figlio è come Charlie. Ma vive ed è felice". E' il titolo che apre l'intervista a La Nazione di Chiara Paolini, la mamma di un bimbo di 9 anni -Emanuele- affetto da sindrome da deplezione del dna mitocondriale, la stessa patologia del piccolo Charlie Gard. "Spesso parlo con la zia di Charlie, la sorella del papà –dice Chiara Paolini-. Mi dice che i suoi genitori sono sempre con il bimbo, possono stare nello stesso letto, coccolarlo, gli stanno accanto, è molto bello e molto brutto assieme, perché sanno che è stata decretata la sua morte".

Il destino di Charlie pare segnato, vista la sentenza che prevede lo stop alle macchine che sostengono il piccolo. "La differenza fra Mele -come viene affettuosamente chiamato Emanuele- e Charlie è solo nel tipo di gene malato, che causa però la stessa malattia, e nelle leggi dello Stato in cui vivono. La legge sul fine vita che vige in Inghilterra è stata riconosciuta suprema, dai giudici europei, rispetto al diritto alla vita di Charlie. In Italia, invece, la legge vieta l’interruzione delle cure nei bambini senza il permesso dei genitori. Questo diritto diventerebbe, anche da noi, molto più incerto se passasse la legge sulle DAT in discussione al Senato. Penso che dobbiamo combattere perché quella legge non passi, per non metterci tutti nei guai". "Uccidere qualcuno non è mai un atto di compassione – rincara la signora a La Nazione–. Lo Stato deve tutelare i diritti dei disabili. La storia di Charlie, per alcuni versi, ricorda tanto le esecuzioni 'compassionevoli' naziste".

Anche ai genitori di Emanuele fu consigliato "di accompagnarlo alla morte, evitando accanimento terapeutico". In sostanza, sarebbe bastato che i genitori non intervenissero durante una delle frequenti crisi epilettiche del bimbo. "Per un certo tempo – racconta Chiara – ci lasciammo convincere che fosse la strada migliore. Ma una notte, Mele ebbe un attacco e io lo ventilai per diverse ore. Ero divisa a metà. Non volevo che soffrisse ma nemmeno lasciarlo andare. Capii, però, che mentre lo aiutavo a respirare lo stavo, in realtà, accompagnando alla vita; così decidemmo di andare avanti. Non c’è nulla di più bello dell’essere genitori. La malattia è solo un aspetto secondario".

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