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Migranti, Mediterranean Hope: "Anni di violenze, torture e naufragi, servono canali ingresso legali in Ue"

(foto di Mediterranean Hope)
(foto di Mediterranean Hope)
03 ottobre 2021 | 11.38
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"A Lampedusa gli sbarchi non si sono mai fermati. Le persone arrivano sempre, anche d'inverno, e in condizioni difficilissime. Eppure l'isola appare a intermittenza sui media in un racconto spesso distorto che invoca l'emergenza davanti a un fenomeno che emergenza non è". Marta Bernardini è la coordinatrice di Mediterranean Hope, il programma della Federazione delle chiese evangeliche in Italia dedicato ai migranti e ai rifugiati. Sulla più grande delle Pelagie è arrivata per la prima volta nel 2014. "Sette anni che hanno cambiato in modo profondo tutta la mia vita - racconta all'Adnkronos -. Lavorare qui mi ha permesso di guardare le cose da un'altra prospettiva". 

A sentir parlare di 'emergenza sbarchi' a Lampedusa non ci sta. "Lo scorso luglio sono arrivati 60mila turisti e appena 6mila migranti. Eppure tg e giornali hanno continuato a parlare di 'invasione' e 'isola al collasso' - dice -. Certamente sono numeri che possono mettere in difficoltà una piccola comunità come questa, ma l'emergenza non è quella delle persone che arrivano qui, ma di chi continua a morire in mare, di chi è riportato indietro. Lampedusa è un luogo di transito, nessuno si ferma. L'emergenza sta nell'incapacità dell'Europa di immaginare soluzioni di lungo periodo".

Da anni Mediterranean Hope denuncia le condizioni in cui sono costretti i migranti. "Prima sul molo Favaloro per ore al freddo o sotto il sole, in mezzo alla spazzatura e con i bagni che non funzionano e poi ammassati nell'hotspot. La soluzione non è allargare il centro, mettere una tenda in più o allungare la passerella di un molo. L'Ue rifletta sulle proprie responsabilità".

Nell'isola più a sud d'Italia Marta Bernardini ha avuto modo di toccare con mano gli effetti delle scelte politiche sui flussi migratori. "All'inizio arrivavano tante famiglie siriane, poi è stata la volta degli eritrei e degli etiopi. Infine dei libici - racconta -. Questa estate sono approdate più persone dalla Tunisia. Il motivo? Molte di quelle partite dalla Libia sono state respinte dalla Guardia costiera di quel Paese. Le frontiere sono fluide e legate tra loro, le persone partono da dove possono, se chiudi da un lato cercheranno di arrivare da un altro". 

Un elemento, però, è comune in tutti gli sbarchi. "I traumi e le violenze che chi arriva ha subito", dice. Ecco perché, nel giorno in cui sull'isola si ricordano le vittime del naufragio del 3 ottobre 2013 Mediterranean Hope, che sarà presente alla cerimonia interreligiosa a cui parteciperanno anche il vescovo di Agrigento, monsignor Alessandro Damiano, e il presidente della Federazione delle Chiese evangeliche, Luca Maria Negro, torna a chiedere corridoi umanitari. "Noi li facciamo da tempo come società civile, ma non basta - avverte -. Siamo un modello, un faro che indica una strada, ma spetta alle Istituzioni italiane ed europee assumersi la responsabilità di una soluzione strutturata di lungo periodo. Le persone non possono continuare ad arrivare così: servono vie di accesso legali e sicure". 

E la politica dei porti chiusi di Salvini? "Gli arrivi sono continuati anche nel periodo in cui lui era al Viminale - assicura -. Quella strategia ha avuto una ripercussione molto violenta sulle ong, a cui veniva impedito di far sbarcare le persone soccorse. Sono state criminalizzate e osteggiate, ma per noi i soccorsi in mare sono importantissimi, bisogna garantirli finché a tutti non sarà consentito di arrivare attraverso vie legali". 

Sul molo Favaloro a ogni sbarco gli operatori di Mediterranean Hope offrono tè caldo, acqua, cibo e coperte termiche. "Quello che mi colpisce sempre è la loro dignità, la determinazione con cui hanno affrontato il viaggio in mare e l'orrore. Sono testimoni della resistenza, uomini e donne che stanno lottando per la loro vita". 

Come quelli, 686, arrivati nei giorni scorsi a bordo di un vecchio peschereccio intercettato dagli uomini della Guardia costiera e della Guardia di finanza a una ventina di miglia dall'isola. "Siamo abituati agli sbarchi - racconta all'Adnkronos Marta Barabino, operatrice di Mediterranean Hope e da un anno sulla più grande delle Pelagie - ma vedere arrivare quel barcone gremito all'inverosimile è una cosa che ci ha lasciato sgomenti. Ci sembrava di essere tornati indietro di tanti anni. Molti ci hanno detto di essere partiti dalla Libia, di aver subito violenze e torture, avevano voglia di raccontare l'incubo vissuto". A bordo anche tanti ragazzi. "Giovanissimi, in viaggio da soli".

Un copione già visto. Centinaia di volte. "Tanti quando arrivano ci chiedono di poter chiamare la mamma o un familiare per dire che ce l'hanno fatta, che sono vivi". Storie che segnano la vita di chi a Lampedusa ha scelto di lavorare. Come i sorrisi dei bimbi. "A volte basta gonfiare un guanto a palloncino. Ci mettiamo a disegnare per terra con i gessetti e per un attimo restituiamo loro quella dimensione di infanzia negata", conclude. (di Rossana Locastro) 

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