A parlare all'Adnkronos del caso Sea Watch è Francesca Peirotti, condannata dalla Corte d'Appello di Aix En Provence a sei mesi di carcere per aver aiutato otto migranti ad attraversare il confine da Ventimiglia verso Mentone
di Attilia Brocca
"Ho letto che qualcuno ha paragonato il mio caso a quello di Carola Rackete, in realtà si tratta di due vicende molto diverse sebbene entrambe legate al fenomeno dell'immigrazione: la Sea Watch fa salvataggi in mare, io aiutavo delle persone ad andare dove volevano, senza un'organizzazione alle spalle. E, comunque, è orribile che venga fatto un gioco politico su vite umane. La capitana ha pensato in primis a salvarle, spero venga assolta totalmente". A parlare, interpellata dall'Adnkronos sul caso Sea Watch, Francesca Peirotti, trentenne cuneese residente a Marsiglia, condannata dalla Corte d'Appello di Aix En Provence a sei mesi di carcere con la sospensione condizionale della pena per aver aiutato, nel novembre del 2016, otto migranti ad attraversare il confine da Ventimiglia verso Mentone.
"Mi dispiace per quello che è accaduto alla capitana, credo non sia stato facile per lei. Innanzitutto comandare una nave non credo sia facilissimo, aveva, quindi una forte responsabilità, e poi tutta quella tensione mediatica addosso - aggiunge Francesca Peirotti - inoltre, ho letto cose anche molto cattive, per questo mi auguro abbia avuto vicino persone che l'abbiamo supportata e reso questo momento un po' meno terribile". Quanto al futuro risvolto della vicenda, la giovane cuneese si augura che Carola Rackete venga assolta. "E' la prima volta che la Sea Watch non rispetta l'ordine di non oltrepassare, inoltre, nel decreto sicurezza bis mi pare ci voglia la flagranza, in questo caso non mi pare ci sia, quindi spero venga assolta totalmente". Il suo caso, però, le ricorda il cronista, si è concluso diversamente. "Sulla Sea Watch erano puntati gli occhi di tutta Italia e molte altre parti d'Europa - osserva - nel mio, per scelta, ho cercato di non mediatizzare troppo la vicenda perché altrimenti si rischia di decentrare il problema, si parla dell'eroina europea che alla fine non fa nulla di eccezionale e si dimentica che le vere vittime sono altre, in questo caso quelle 42 persone che sono rimaste tutto quel tempo sulla barca senza forse neppure ben capire, almeno all'inizio, cosa stava succedendo".
E lei rifarebbe ciò che ha fatto? "Non è una cosa di cui mi sento di chiedere scusa - risponde senza esitazione - né di dire 'non ho rispettato la legge' perché ci sono leggi che non sono a misura d'uomo. Penso la mia condanna sia stata dettata dalla necessità di dare un esempio nel caso a qualcuno venisse in mente di fare altrettanto. Ora abbiamo fatto ricorso in Cassazione e attendiamo notizie in merito. Poi se sarà necessario andremo alla Corte Europea", ribadisce in conclusione sottolineando: "Comunque non siamo le sole che si spendono per aiutare chi arriva, sono tantissime le persone che lo fanno, fortunatamente non tutte vengono perseguite dalla legge e finiscono sui giornali".