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Coronavirus, lo studio: "Anticorpi in 1 milanese su 20 già prima di pandemia"

La conferma in una ricerca del Policlinico di Milano: all'inizio dell'epidemia la sieroprevalenza di Sars-Cov-2 era del 4,6%

(Afp)
(Afp)
20 maggio 2020 | 15.17
LETTURA: 4 minuti

Il virus responsabile di Covid-19 circolava a Milano già diverse settimane prima che iniziasse l'epidemia lo scorso 21 febbraio. Lo ha scoperto uno studio sui donatori di sangue del Policlinico di Milano, pubblicato in anteprima (pre-print) su 'medRxiv'. Secondo i risultati, all'inizio dell'epidemia la sieroprevalenza di Sars-Cov-2 era del 4,6%. Ovvero, 1 persona su 20 era già venuta in contatto con il coronavirus e aveva anche sviluppato un'immunità. La percentuale è salita al 7,1% all'inizio di aprile.

Secondo i risultati dello studio del Policlinico di Milano all'inizio dell'epidemia il 4,6% dei donatori aveva già gli anticorpi contro il coronavirus, percentuale che è salita al 7,1% all'inizio di aprile. "Inoltre, il distanziamento sociale messo in atto per contenere la diffusione sembrerebbe essere stato d'aiuto soprattutto per proteggere i più giovani, riducendo il numero di nuove infezioni", ha evidenziato la ricerca progettata e coordinata da Daniele Prati e Luca Valenti del Dipartimento di Medicina Trasfusionale ed Ematologia del Policlinico di Milano insieme a Gianguglielmo Zehender dell'Università degli Studi di Milano, in collaborazione con diversi ricercatori provenienti anche dall'Ospedale Luigi Sacco di Milano e dall’Istituto Europeo di Oncologia.

I ricercatori hanno selezionato un campione casuale di circa 800 donatori di sangue sani che frequentano abitualmente il Policlinico di Milano, dove è attivo il principale Centro Trasfusionale con più di 40 mila donatori ogni anno provenienti da Milano e province lombarde. Sono stati analizzati i donatori che si sono presentati tra il 24 febbraio e l'8 aprile 2020, seguendo quindi l'andamento dell'epidemia dal suo esordio ufficiale fino al pieno del distanziamento sociale. "A ciascun donatore è stato fatto, insieme alle analisi di routine, anche un test sierologico per cercare eventuali anticorpi contro Sars-CoV-2, il coronavirus responsabile della Covid-19 - spiega il lavoro - Il test cerca in particolare due tipi di anticorpi: le Igm, che sono l'indizio di una infezione recente, e le Igg, che invece rappresentano la memoria immunitaria a lungo termine. Il test ha una specificità del 98,3% contro questi anticorpi e una sensibilità del 100%, producendo quindi dei risultati davvero affidabili". "Lo studio - osserva Luca Valenti - è stato possibile grazie anche ai campioni di sangue archiviati nella Biobanca del Policlinico, una raccolta sistematica di materiali biologici che è importantissimo su tanti fronti, primo su tutti quello della ricerca. La Biobanca conserva in condizioni sicure tutti questi campioni, in modo tale da poterli recuperare o analizzare in caso di bisogno, senza alterarne le caratteristiche".

Commentando lo studio, Daniele Prati, direttore del Centro trasfusionale del Policlinico di Milano, ha evidenziato come ora "abbiamo la prima vera conferma scientifica che nell’area metropolitana era presente un sommerso di persone contagiate, già prima che si verificassero i primi casi di malattia conclamata. Seppure si tratti di un articolo in pre-print, è il primo studio sierologico su persone asintomatiche che ci dice chiaramente che siamo ben lontani dall'immunità di gregge". "Lo scopo di questo studio - prosegue Prati - era di esaminare la presenza dell’infezione da Sars-Cov-2 in adulti asintomatici in una delle aree italiane più colpite, e nello stesso tempo raccogliere più elementi possibili per comprendere i fattori di rischio e i valori di laboratorio associati alla malattia. Infine, lo studio ci ricorda che le popolazioni dei donatori di sangue possono aiutarci molto studiare le malattie prima che si manifestino pienamente".

"Durante le fasi dello studio caratterizzate dalle misure di distanziamento sociale - commentano i ricercatori - c'è stato un aumento progressivo di questa sieroprevalenza fino al 7,1%, con limiti di confidenza che arrivano al 10,8%. Questo aumento si è riscontrato soprattutto nelle Igg, ovvero nelle infezioni meno recenti e quindi con una immunità già sviluppata, piuttosto che con le Igm. Inoltre, questo progressivo aumento della percentuale dei soggetti esposti si è riscontrato soprattutto nei più giovani, mentre le infezioni più recenti (segnalate dall'aumento delle Igm) erano associate soprattutto ai donatori più anziani".

In conclusione, secondo i ricercatori il virus Sars-CoV-2 "stava già circolando da tempo nella popolazione quando è iniziata ufficialmente l'epidemia; la pratica del distanziamento sociale sembra aver favorito soprattutto i più giovani, che hanno avuto il tempo di sviluppare un'immunità a lungo termine. Infine, in tutti i donatori che hanno mostrato positività al virus si sono verificate alterazioni nella conta delle cellule del sangue e nel profilo lipidico: due indizi - concludono - che potrebbero aiutare a inquadrare meglio le persone asintomatiche, cioè quelle che pur avendo il virus in circolo (ed essendo per questo contagiose) non manifestano la malattia".

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