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Caso Regeni, "uno dei torturatori promosso generale"

E’ quanto emerge dall’informativa dei carabinieri del Ros acquisita agli atti nel corso dell’udienza preliminare di lunedì scorso

Caso Regeni,
13 aprile 2022 | 16.00
LETTURA: 2 minuti

Il colonnello Uhsam Helmi, uno dei quattro 007 egiziani imputati a Roma nel procedimento per il sequestro e l’uccisione di Giulio Regeni, potrebbe “essere stato promosso al grado di Generale di Brigata”. E’ quanto emerge dall’informativa dei carabinieri del Ros acquisita agli atti nel corso dell’udienza preliminare di lunedì scorso, risolta con l’ennesimo nulla di fatto per la totale assenza di collaborazione da parte delle autorità del Cairo sul caso del ricercatore friulano, rapito, torturato e ucciso in Egitto nel 2016. Gli investigatori sono infatti risaliti a una foto sul web in cui Helmi indossa una “giubba bianca di una uniforme militare alla quale sono apposti i gradi di Generale di Brigata”. In particolare, Helmi, che sarebbe impiegato presso ‘i passaporti e l’immigrazione’, avrebbe “avuto a che fare con la Suez Canal Authority” scrivono gli investigatori che sono risaliti anche ad alcuni account social riconducibili al militare.

Per quanto riguarda gli altri imputati, il più alto in grado, il generale Tariq Sabir, “sarebbe attualmente in servizio presso il Dipartimento degli Affari Civili del Ministero dell’Interno con l’incarico di supervisionare un progetto relativo alle carte di identità dei cittadini egiziani”. Il maggiore Magdi Ibrahim Abdel Sharif, scrivono gli investigatori, “potrebbe essere ancora in servizio presso la Direzione della Sicurezza Nazionale, mentre Athar Kamal sarebbe ormai in pensione.

Le indagini del Ros, per arrivare agli indirizzi dei quattro 007 egiziani, per notificare gli atti, si sono estese anche al web e in particolare agli account social degli imputati. Ci sarebbe infatti la possibilità di chiedere la collaborazione dei provider statunitensi e dei colossi Usa, come Facebook e Google, magari anche attraverso una rogatoria agli Stati Uniti. Anche in questo caso però potrebbe essere necessario un raccordo con le autorità egiziane che invece finora non hanno mai voluto collaborare. Un tentativo simile infatti era stato compiuto già nel 2016 dagli inquirenti ma senza alcun risultato.

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