di Assunta Cassiano e Daniele Dell'Aglio
Nata a Napoli e poi trasferita a Roma, dove ha vissuto gli sviluppi più importanti toccando nomi di primo piano della politica e delle istituzioni, l'inchiesta Consip inizia nell’estate del 2016, quando i pm napoletani Henry John Woodcock e Celeste Carrano indagano sulle attività dell'imprenditore Alfredo Romeo e sui presunti legami con clan della camorra di alcuni dipendenti della società che gestisce il servizio di pulizia all'ospedale Cardarelli.
Dall'indagine i pm arrivano a Consip, la centrale degli acquisti della pubblica amministrazione. Dagli accertamenti emerge la gara d'appalto, suddivisa in 18 lotti e bandita nel 2014, del valore di 2,7 miliardi di euro, la Facility Management (FM4), che si occupa della fornitura di servizi per gli uffici della Pubblica amministrazione. Alla fine dello stesso anno parte dell’inchiesta arriva nella Capitale per ragioni di competenza territoriale: la procura di Roma, con il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il sostituto procuratore Mario Palazzi, indaga sugli appalti Consip e sulla presunta fuga di notizie a indagine in corso mentre i magistrati partenopei si occupano degli appalti di Napoli.
E proprio nella capitale matura l'indagine che che arriva a coinvolgere alti ufficiali dell'Arma dei carabinieri, giornalisti, politici e gli stessi magistrati che nel capoluogo campano avevano avviato le indagini.
Il grande accusatore in questa vicenda è l'allora ad di Consip, Luigi Marroni, le cui ricostruzioni sono considerate attendibili dai pm, e che chiamano in causa l'ex ministro dello Sport ed ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel governo Renzi, Luca Lotti, e il generale dell'Arma Emanuele Saltalamacchia. Fu Marroni che nel dicembre del 2016 raccontò ai magistrati che erano stati loro due a dirgli che c'era un'indagine sulla società: subito dopo Marroni fece bonificare il suo ufficio dalle microspie messe dai carabinieri del Noe.
Sotto inchiesta finiscono così Lotti, accusato di rivelazione del segreto istruttorio e favoreggiamento insieme con il generale dell'Arma Emanuele Saltalamacchia. Accusato di favoreggiamento anche l'ex presidente di Publiacqua Firenze, Filippo Vannoni.
C'è poi l'ex comandante generale dei carabinieri, Tullio Del Sette, accusato di rivelazione del segreto d'ufficio e favoreggiamento mentre per l'ex maggiore del Noe, Giampaolo Scafarto le accuse sono rivelazione del segreto e falso. Scafarto è accusato anche di depistaggio insieme con l'ex colonello dell'Arma, Alessandro Sessa.
In particolare, all'ex capitano del Noe, attualmente maggiore dei carabinieri e assessore alla Sicurezza e alla legalità del Comune di Castellammare di Stabia, venivano contestati tre episodi di falso, due di rivelazione di segreto d'ufficio e uno di depistaggio proprio con l'ex colonnello Sessa.
Scafarto era accusato di aver rivelato al Fatto Quotidiano "il contenuto delle dichiarazioni rese, quali persone informate dei fatti, da Luigi Marroni e Luigi Ferrara" nell'ambito dell'inchiesta che all'epoca veniva condotta dai magistrati napoletani e l'iscrizione nel registro degli indagati del generale Del Sette, "notizia poi pubblicata il 22 dicembre del 2016". L'ufficiale dell'Arma sempre secondo l'accusa, avrebbe veicolato "atti coperti del segreto investigativo tra cui intercettazioni, pedinamenti e l'informativa del febbraio del 2017".
Tra gli episodi di falso contestati, c'era anche quello in merito all'informativa poi consegnata ai pm di Roma, del 9 gennaio del 2017, in cui attribuisce all'imprenditore campano Alfredo Romeo e non a Italo Bocchino, che effettivamente la pronunciò, la frase "...Renzi, l'ultima volta che l'ho incontrato". Secondo i pm Scafarto avrebbe redatto l'informativa "alterata" con l'obiettivo di "arrestare" Tiziano Renzi.
Scafarto, che il 10 maggio 2017 aveva subito il sequestro del proprio cellulare era accusato di depistaggio perché secondo i pm, "su richiesta e istigazione di Sessa e al fine di non rendere possibile ricostruire le chat whatsapp, provvedeva a disinstallare sul cellulare di Sessa l'applicazione".
Oggi il gup Clementina Forleo ha rinviato a giudizio l'ex ministro dello Sport ed ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio Luca Lotti, per favoreggiamento nell'inchiesta, l'ex comandante generale dell'Arma dei Carabinieri Tullio Del Sette, accusato di rivelazione del segreto d'ufficio e favoreggiamento. Rinviato a giudizio poi il generale Emanuele Saltalamacchia, comandante generale dei Carabinieri all'epoca dei fatti, per favoreggiamento, così come l'ex presidente di Publiacqua Firenze Filippo Vannoni e l'imprenditore Carlo Russo per millantato credito. Prosciolti invece da tutte le accuse l'ex maggiore del Noe Giampaolo Scafarto e l'ex colonnello dell'Arma Alessandro Sessa.
Bisognerà attendere, invece, il 14 ottobre per conoscere la decisione sulla posizione di Tiziano Renzi, padre dell'ex premier, per il quale la Procura di Roma aveva chiesto l'archiviazione modificando l'ipotesi di accusa, passata dal traffico di influenze a quella di millantato credito in concorso con l'imprenditore Russo. Lo scorso 25 luglio il gip di Roma Gaspare Sturzo ha respinto la richiesta di archiviazione per Renzi ‘senior’ che rimane quindi al momento formalmente indagato.
Per singoli capi di imputazione il gip ha detto no anche alle richieste di archiviazione che riguardano tra gli altri l'ex ministro Lotti, il generale dell'Arma in Toscana, Emanuele Saltalamacchia, gli imprenditori Carlo Russo e Alfredo Romeo, l'ex parlamentare del Pdl, Italo Bocchino, l'ex ad di Grandi Stazioni, Silvio Gizzi, l'ex ad di Consip Domenico Casalino e il dirigente Francesco Licci. Le accuse, a vario titolo e a seconda delle diverse posizioni, vanno dalla corruzione alla turbativa d'asta e rivelazione di segreto d'ufficio.