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Lo studio

Allarme bullismo, il 20% degli adolescenti ne è vittima dentro e fuori scuola

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17 novembre 2016 | 12.36
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Circa il 20% degli adolescenti in Italia è frequentemente vittima di bullismo fuori e dentro il contesto scolastico, mentre nell'ultimo anno il 50% ha subito qualche episodio offensivo, non rispettoso e/o violento da parte di altri ragazzi o ragazze (Istat, 2014), il 47% dei minori presi in carico dai servizi ha subito forme di trascuratezza materiale o affettiva (Cismai, Terres des hommes, 2015), il 10,6% delle donne ha subito abusi sessuali prima dei 16 anni e lo 0,8% è stata vittima di forme di abuso sessuale gravi come lo stupro (Istat, 2015).

Sono alcuni dei dati che emergono dal Rapporto italiano dello "Studio Multi-Paese sui drivers della violenza all'infanzia", condotto da un team di ricercatori dell'Istituto degli Innocenti di Firenze, sotto la supervisione dell’Unicef Office Research e dell’Università di Edimburgo.

Si tratta del primo studio complessivo di questa portata, realizzato su tutte le più importanti indagini effettuate sul tema della violenza sui minori in Italia negli 15 anni, al fine di identificare i fattori che predispongono al rischio di abusi e maltrattamenti.

Il Rapporto rappresenta la conclusione della prima fase di un progetto internazionale che coinvolge, oltre all'Italia, Zimbabwe, Vietnam e Perù, con l’obiettivo di ottenere un quadro complessivo sui dati statistici ed essere in grado di mettere a punto interventi efficaci a scopo di prevenzione.

La ricerca, durata quasi due anni, ha preso in considerazione 237 indagini, tra le quali ne sono state scelte 59 tra le più complete e approfondite per effettuare ulteriori analisi. Il risultato è condensato in una ottantina di pagine di Rapporto - comprensivo di glossario di termini e definizioni - che traccia un quadro sui principali drivers che conducono alla violenza nei confronti dei minori. Al di là delle dinamiche familiari, infatti, lo studio indaga gli elementi di carattere più strutturale, come la situazione economica, politica e culturale di una comunità, come possibili fattori di rischio.

L'analisi suddivide i fattori di rischio in più livelli: strutturale, inerente lo status socio-economico, le discriminazioni su base etnica e lo status migratorio; comunitario, collegato alle dinamiche sociali che ruotano attorno al bambino e alla famiglia. Ad esempio: i bambini che vivono in famiglie caratterizzate dall’isolamento sociale hanno una probabilità cinque volte maggiore di subire maltrattamenti (Bianchi e Moretti, 2006); individuale e interpersonale, in riferimento all’ambiente familiare e alle esperienze pregresse di abuso subito o assistito in famiglia.

Nel dettaglio le norme familiari hanno un peso notevole sulle storie di violenza. Secondo le analisi secondarie effettuate sulla ricerca "Vite in Bilico" (Bianchi e Moretti, 2006), le donne vissute in famiglie in cui esistevano segreti e/o la tendenza ad accusarsi a vicenda sono risultate avere una probabilità due volte maggiore di subire abusi sessuali e una probabilità 6,5 volte maggiore di vivere episodi di maltrattamento fisico o emotivo.

Le donne che hanno dichiarato di essere state umiliate all'interno della propria famiglia durante l'infanzia e l'adolescenza sono risultate avere una probabilità 14 volte superiore di subire maltrattamenti gravi e coloro che hanno assistito a liti familiari hanno una probabilità di essere maltrattate 7 volte superiore.

Anche assistere alla violenza domestica, infatti, può avere gravi ripercussioni sui minori. L'Istat ha rilevato che la probabilità che le persone compiano atti di violenza intima sui propri partner aumenta dal 5,2% al 22% se hanno assistito alla violenza del padre sulla propria madre (Istat, 2015).

Da "Vite in Bilico" emerge che il 64% delle donne vittime di abusi sessuali è stata esposta a situazioni di elevata conflittualità familiare e il 48% ha assistito a episodi di aggressioni verbali, offese e svalutazioni ai danni di un altro parente. La violenza domestica può anche significare un fattore di rischio per lo sfruttamento sessuale, come riportato da altre indagini esaminate in questo contesto (Carchedi, 2004; Save the Children 2013, Camera dei Deputati, 2012).

Ma la violenza subita non accresce solo il rischio di diventare vittime. La probabilità che le persone compiano atti di violenza intima sui propri partner aumenta dal 5,2 al 35,9% se sono state fisicamente abusate dalle proprie madri (Istat, 2015).

L'esposizione alla violenza è inoltre uno dei drivers che spinge a sviluppare forme di bullismo, agito o subito. Uno studio locale condotto in Toscana ha riscontrato che i "bulli a tempo pieno" costituiscono il 7,2% della popolazione, mentre i "bulli temporanei" rappresentano il 37,3% della popolazione studentesca (Menesini e Nocentini, 2008).

Per quanto il bullismo si riaffermi come fenomeno unisex ("bulli" e "bulle" si equivalgono in percentuale), gli stereotipi di mascolinità influiscono sulle azioni di matrice omofoba.

Dall'indagine Istat 2014 sul bullismo dentro e fuori dal contesto scolastico emerge che quasi il 20% dei ragazzi tra 11 e 17 anni sono frequentemente vittime di bullismo, percentuale che supera il 50% se si sommano coloro che subiscono atti sporadici. Dati piuttosto allarmanti, tali da spingere i ricercatori a concentrarsi maggiormente su questo fenomeno, unitamente a quello del cyberbullismo, durante la seconda fase del progetto, che prevede l'approfondimento su una singola forma di violenza.

Secondo i dati forniti dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, il numero di minori stranieri non accompagnati presenti in Italia al 30 aprile 2016 è di 11.648, il 41% in più rispetto a un anno prima. Si tratta prevalentemente di adolescenti maschi prossimi alla maggiore età (solo il 7,3% ha meno di 15 anni, mentre i 17enni sono il 56%). Le cittadinanze più rappresentate sono Egitto (20,9%) e Albania (12,5%) seguite da paesi del Centro Africa (Gambia, Eritrea, Nigeria e Somalia).

Molti di loro sfuggono dopo poco ai controlli istituzionali per ricongiungersi con i parenti o trovare un lavoro. Al 30 aprile 2016 i minori non accompagnati irreperibili erano 5.099, la maggior parte dei quali di cittadinanza somala (23,5%), egiziana (23,3%) ed eritrea (21,1%). I minori non accompagnati sono facili prede per la criminalità organizzata, a forte rischio di cadere vittime di forme di sfruttamento, a scopo sessuale o di altro tipo.

Una ricerca effettuata sulla base delle esperienze di alcune tra le più importanti associazioni attive nel sostegno alle vittime di sfruttamento sessuale (Caritas Italiana, Gruppo Abele, Cnca, On the road), ha stimato che nel 2009 in Italia ci sono state 24.700 donne vittime di tratta di cui 8-10 % minorenni (Castelli, 2014).

L'associazione Ecpat trae conclusioni simili fornendo la stima di 2.500 persone coinvolte nella prostituzione minorile in Italia ogni anno (75 % femmine, 25 % maschi).

I dati del Dipartimento per le Pari Opportunità sui minori vittime di tratta coinvolti in progetti di reinserimento sociale (ai sensi dell’art. 18 del Dlgs. 286/98) indicano che tra il 2000 e il 2012, sono stati intercettati un totale di 1.171 minori dai servizi. Inoltre i progetti svolti ai sensi dell'articolo 13 della legge 228/2003 contro la tratta hanno assistito un totale di 208 bambini dal 2006 al 2012.

Questi numeri, però, possono essere fuorvianti nel dare una misura del fenomeno in quanto indicano soltanto i minori presi in carico in progetti di reinserimento sociale, rischiando di sottostimare ampiamente il problema, in quanto è difficile quantificare la tratta a scopo di sfruttamento sessuale.

Il Rapporto Italia dello "Studio Multi-Paese sui drivers della violenza all’infanzia" è il risultato di una rassegna della letteratura che ha preso in esame studi e ricerche sull'abuso sessuale, fisico e psicologico contro i bambini.

E' stata inoltre eseguita un'ulteriore analisi dei dati raccolti dall'indagine campionaria "Vite in Bilico", realizzata nel 2006 dall'Istituto degli Innocenti, che rimane ad oggi la ricerca più dettagliata condotta sull’argomento a livello nazionale.

Si tratta di uno studio retrospettivo su 2320 donne tra i 19 ei 60 anni di età che indaga le esperienze di violenza avute dalle intervistate quando erano minorenni. Tra le altre fonti principali: l'Indagine nazionale sulla violenza contro le donne Istat del 2015 con campione circa 25.000 donne in età 17-70 e l’indagine nazionale sul maltrattamento dei minori effettuata dal Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all'Infanzia (Cismai) e Terre des Hommes Italia (2015) con il supporto del Garante Nazionale per l'Infanzia, che analizza i dati amministrativi riguardanti un totale di 2,4 milioni di bambini (25% del totale della popolazione infantile italiana) residenti in 231 comuni in tutta Italia.

E' stata inoltre effettuata una ricognizione dei maggiori interventi di prevenzione della violenza realizzati da Enti pubblici a livello nazionale (ad esempio il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, il Ministero della Salute, il Ministero degli Affari Esteri, la Polizia Postale e delle Comunicazioni); Enti pubblici o associazioni a livello locale attraverso fondi pubblici; associazioni/Ong più importanti che operano nel campo della protezione e promozione dei diritti dei bambini; progetti finanziati attraverso fondi comunitari. Dalla ricognizione emerge un totale di circa 90 progetti di prevenzione della violenza all'infanzia, la maggior parte dei quali dedicati alla sensibilizzazione verso la violenza all’infanzia, anche in ambito scolastico.

Tra gli obiettivi del progetto transnazionale, infatti, c'è quello di individuare gli interventi più efficaci per il contrasto della violenza sui minori. I primi risultati, in tal senso, saranno presentati in occasione di un confronto con gli altri Paesi coinvolti che si terrà nei primi mesi del 2017. La durata del progetto è stimata complessivamente in 4 anni.

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