"Il disturbo dello spettro autistico esordisce nei primi 18-30 mesi di vita per cui la presentazione dei sintomi può essere differenziata da bambino a bambino, non c'è un'uniformità: in alcuni c'è un'ingravescenza dei sintomi, in altri sono più fluttuanti, alcuni bambini hanno uno sviluppo normale e poi perdono determinate competenze. Diversità di insorgenza i cui segni compaiono comunque nei primi due anni di vita". A spiegarlo all'Adnkronos Salute è Luigi Mazzone, neuropsichiatra infantile del policlinico di Tor Vergata.
"Importantissima è la diagnosi precoce e la presa in carico precoce" del bambino, raccomanda Mazzone. "C'è ancora in Italia un ritardo diagnostico. Spesso purtroppo - sottolinea - si tende a rimandare la valutazione dal neuropsichiatra infantile e si perdono mesi in cui il cervello ha una plasticità e ci possono essere anche dei recuperi importanti. A volte c'è il rischio che il pediatra stesso dica 'rivediamo il bambino tra tre-quattro mesi o tra cinque-sei mesi' ma - avverte il neuropsichiatra - quando il bambino ha 18 mesi quei sei mesi sono molto importanti nella vita di quel bambino e nelle prospettive evolutive, per cui bisogna arrivare quanto meno a un sospetto diagnostico con una presa in carico precoce che presuppone degli interventi di tipo intensivo comportamentale. Ai primi segnali i bambini vanno indirizzati da un neuropsichiatra infantile e vanno indirizzati anche i genitori con quello che noi chiamiamo parent-training: un supporto genitoriale fatto da specialisti che serve per indirizzare e guidare i genitori sia nella gestione del bambino sia nella gestione delle proprie emozioni rispetto alla problematica del figlio".
"Non esiste un cliché del bambino autistico. Noi parliamo di disturbo dello spettro autistico che è molto eterogeneo - chiarisce Mazzone - , ci sono bambini che hanno un linguaggio conservato, dei sintomi lievi e un ottimo cognitivo, ci sono bambini invece che hanno assenza di linguaggio, stereotipia e una disabilità intellettiva associata. E tra questi due estremi - spiega il medico - ci sono tante sfumature in cui rientrano tanti bambini autistici. Quello che è importante capire - sottolinea il neuropsichiatra - è chi abbiamo di fronte. Perché più che il tipo di autismo dobbiamo capire che bambino abbiamo: ricordiamoci sempre che accanto all'autismo in primis c'è un bambino con il suo carattere, i suoi capricci, le sue emozioni, il suo modo di relazionarsi che prescinde pure l'autismo".
A stabilire "le terapie per l'autismo - spiega Mazzone - ci sono delle linee guida internazionali ma anche nazionali che in questo momento l'Istituto Superiore di Sanità sta rielaborando, che si riferiscono a terapie intensive comportamentali che poi sono differenziate in base all'esigenza del bambino e possono essere di diverso tipo. Penso alle terapie Aba, o alle terapie Ted, per citarne due tra le più efficaci, ma non solo. E, accanto a queste, va fatta una presa in carico globale in cui anche la il parent-training è importante".
Per affrontare l'autismo "le parole chiave sono scientificità e supporto sociale. Scientificità perché - spiega Mazzone - in un'epoca in cui la medicina va verso la biologia molecolare, le nano tecnologie, cure sempre più personalizzate, ci sono ancora troppi cialtroni che propongono terapie alternative e speculano sulle famiglie alimentando un business molto importante". E supporto sociale in termini concreti come terapie convenzionate e strutture.
"In Italia le terapie comportamentali" per i pazienti con autismo "sono convenzionate" e garantite gratuitamente dal Ssn "solo in poche regioni . Non è un diritto generalizzato, molte terapie sono private e quindi a pagamento. Non c'è una visione centrale del problema, non c'è un progetto ministeriale o governativo. Ci muoviamo per buona volontà individuale" dice Mazzone.
"Anche il piano vaccini per gli autistici - ricorda Mazzone - è iniziato perché un gruppo di genitori illustri ha cominciato a fare pressione, poi qualche associazione di famiglie si è mossa privatamente, qualche politico illuminato si è attivato e ora li stanno vaccinando gradualmente in tutte le regioni. Ma non c'è stata un'idea, un piano vaccinale, ci si è mossi sull'onda di queste pressioni. Così come è capitato con il piano vaccini per il Covid - lamenta - così avviene per le altre terapie. Se trovi il presidente della regione o l'assessore particolarmente sensibile alle terapie comportamentali magari le inserisce in convenzione o fa il progetto ad hoc altrimenti bisogna accontentarsi solo della logopedia. Non c'è una visione d'insieme".