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Etiopia: 5 chef Ue per #WhatFoodMeans, c'è anche italiano Simone Rugiati

Etiopia: 5 chef Ue per #WhatFoodMeans, c'è anche italiano Simone Rugiati
17 marzo 2017 | 13.25
LETTURA: 3 minuti

Il giusto intervento, nel momento giusto, può evitare un disastro umanitario. E' il messaggio di uno chef italiano, Simone Rugiati, che ha viaggiato in Etiopia nell'ambito del progetto #WhatFoodMeans e ora è protagonista di una serie di video che hanno come obiettivo quello di far conoscere ai cittadini italiani sia il progetto, che vede insieme Unione Europea e World Food Programme, sia la realtà etiope alle prese con la siccità.

L’Unione Europea e il World Food Programme hanno contribuito a salvare oltre sette milioni di persone fornendo loro i mezzi di sussistenza dal 2015, quando il Paese si trovò ad affrontare la peggiore siccità in decenni. Cinque chef europei, tra cui Rugiati, sono scesi in campo per incontrare alcune delle famiglie che hanno ricevuto assistenza l’anno scorso e scoprire come, lavorando assieme, si possono salvare vite umane.

“Poter cucinare insieme alle famiglie che ho incontrato è stata un’esperienza unica - racconta Rugiati - Creare un piatto con queste persone, dividendosi i compiti, condividendo tutto con un’incredibile energia e allegria nonostante le difficoltà che hanno dovuto affrontare a causa della siccità e della carestia che li ha messi a durissima prova, è stato davvero indimenticabile".

A raccontare il programma e la realtà etiope, è John Aylieff, direttore del Wfp in Etiopia, a capo di un team di 800 persone e un network di 14 uffici nel paese che, nel 2016, hanno distribuito 75.000 tonnellate di cibo, l’equivalente di oltre 30.000 camion.

“Abbiamo dovuto raggiungere oltre sette milioni di persone in 5mila località remote - dice Aylieff - L’Etiopia è grande quattro volte l’Italia e la sua popolazione è una volta e mezza quella italiana. La logistica è complicata e il compito arduo, ma l’Unione Europea è intervenuta in maniera significativa con dei finanziamenti cruciali, che hanno permesso al Wfp di fornire cibo d’emergenza a quanti ne avevano bisogno".

"Sarebbe potuto essere il più grande disastro umanitario del 2016 con milioni di vite in pericolo ma non è andata così, lavorando insieme siamo riusciti ad evitarlo. Avere avuto Simone e gli altri chef con noi in Etiopia per vedere di persona l’impatto del nostro lavoro e incontrare gli straordinari etiopi che abbiamo assistito - aggiunge - ci ha ricordato quanto questa storia poteva essere diversa".

La sfida continua ora in altre parti del Paese a seguito della nuova siccità nel Corno d’Africa. Nel 2016, l’Ue stanziò 168,3 milioni di euro in finanziamenti umanitari per la risposta alla crisi dei rifugiati e per le conseguenze della siccità causata da El Niño sulle comunità etiopi.

"In quanto maggiore donatore del Wfp in Etiopia - spiega Dominique Albert, capo unità all’ufficio European Commission Civil Protection and Humanitarian Aid Operations (Echo) a Bruxelles - capiamo cosa significhi l’assistenza alimentare per le persone più vulnerabili qui; si tratta non solo di salvare le vite dei loro figli, ma di salvaguardare i loro mezzi di sostentamento e il loro modo di vivere nel futuro”.

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