"La media di microplastiche nei mari è troppo alta: in alcune zone del mondo si arriva ad averne 100 chili in un solo chilometro cubo". Così Marco Faimali, responsabile dell'Istituto di Scienze Marine del Cnr, interviene sulla questione del marine litter . "Ogni anno - spiega - 8 milioni di tonnellate di plastica entrano in contatto con l'ambiente marino. Le microplastiche penetrano nel plancton che è alla base dell'intera catena alimentare marina. Un fatto preoccupante perché l'accumulo di sostanze tossiche negli esseri viventi aumenta man mano che si risale la piramide alimentare".
I numeri sono impressionanti. Secondo Legambiente il 96% dei rifiuti galleggianti in mare è composto da plastica (di cui il 16% sono buste) e l'89% della fauna marina rischia di ingerirla. Non stiamo parlando solo di tartarughe che scambiano borse di plastica per meduse, ma soprattutto di detriti che con il passare del tempo e per effetto del calore diventano frammenti microscopici ed entrano a far parte della catena alimentare dei pesci.
Le microplastiche hanno dimensioni inferiori ai 5 mm e a loro volta si frammentano in nanoplastiche, addirittura invisibili all’occhio umano, rilasciando in mare composti chimici tossici quali ftalati, perfluorurati, ritardanti di fiamma, per citarne solo alcuni.
Il 60% della letteratura scientifica sull'argomento è stato prodotto negli ultimi 15 anni, segno che la ricerca si sta focalizzando sempre di più sull'analisi dei contaminanti marini ma che ancora c'è molto da fare. Tra le evidenze scientifiche, sottolinea, Alberta Mandich, endocrinologa ambientale del Dipartimento di scienze della terra di Università degli Studi di Genova, "abbiamo alimentato due batterie di spigole con mangimi differenti: uno convenzionale e l'altro con aggiunta di microplastiche". Risultato?
Nel primo caso la percentuale di mortalità è rimasta ferma intorno al 3%; nel secondo è schizzata al 63%. Infertilità, intersessualità, indebolimento delle barriere protettive dell'organismo sono effetti degli inquinanti che interferiscono con il sistema di produzione ormonale. Ma quali sono gli effetti sull'uomo quando mangia pesce?
Claudia Bolognesi, responsabile dell'Unità carcinogenesi ambientale dell'Ospedale San Martino di Genova, prova a rassicurare: "Gli studi non confermano l'assorbimento di microplastiche da parte dei tessuti umani", ma allo stesso tempo ammette che "i dati tossicologici sono ancora pochi". Il fatto è che il rischio da parte dell'uomo di assorbire microplastiche non proviene solo dall'ingerimento di pesce.
Il tema è stato affrontato in un ciclo di incontri in occasione di Slow Fish, che ha anche 'mappato' l'origine delle microplastiche: contenute in prodotti di uso comune (nei cosmetici, per esempio, quali esfolianti facciali, dentifrici, shampoo, trucchi e creme solari), prima di finire in acqua, entrano in contatto con l'uomo. Tracce di microplastiche sono state rinvenute anche nel miele, nella birra e nei farmaci. Per questo - è emerso dagli incontri - la scienza si sta concentrando anche sugli effetti degli interferenti endocrini sull'organismo umano, sugli effetti che tali sostanze hanno sul sistema riproduttivo e sul latte materno.
Insomma, i contaminanti nelle acque marine sono un segnale allarmante, ma non esistono ancora leggi che fissino dei limiti di microplastiche nell'ambiente e nei prodotti alimentari. "Per emanare una legge - spiega Renata Briano, deputata europea vicepresidente della Commissione Pesca - è necessario far convergere tutti i settori, non solo quello ambientale. L'inquinamento dei mari ci costa 8 miliardi di dollari l'anno e le prime vittime sono i pescatori. Sono loro che dobbiamo incentivare e coinvolgere maggiormente nella pulizia dei mari".
Per Franco Andaloro, dirigente Ispra e membro del comitato scientifico di Slow Fish, che ha concluso il ciclo di incontri, "non vogliamo allarmare e basta. Vogliamo che queste ricerche servano per accrescere la consapevolezza del consumatore. Perché un consumatore informato è anche un consumatore più sicuro".