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Emissioni di gas serra, +20% per quelle da agricoltura dal 1990 a oggi

 - Andre Nery - Fotolia
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09 maggio 2017 | 17.17
LETTURA: 4 minuti

Dal 1990 a oggi le emissioni di gas serra derivanti dall’agricoltura sono aumentate del 20% e raddoppiate dal 1960. Ma dov’è che l’agricoltura è più sostenibile? Sicuramente nei Paesi del G7, ma con alcune eccezioni importanti.

Tra le grandi economie del Pianeta, infatti, Germania, Canada e Giappone sono, secondo il Food Sustainability Index realizzato da Fondazione Barilla e The Economist Intelligence Unit (che analizza 25 Paesi che rappresentano oltre i due terzi della popolazione mondiale e l’87% del Pil globale), quelle che possono vantare la “produzione agricola più sostenibile”.

Di contro, gli Stati Uniti restano fermi al 19esimo posto, a ridosso cioè dei Paesi che devono compiere gli sforzi più importanti. In questa speciale graduatoria l’Italia si piazza al settimo posto, con un punteggio di 59.81 su un totale di 100, ossia ben sopra i 50.73 punti totalizzati dagli Stati Uniti. Tema al centro di Seeds&Chips – The Global Food Innovation Summit all’interno della tavola rotonda dal titolo “Going forward by going back”, organizzata da Food Tank.

Se da una parte, dunque, il problema da risolvere è quello dell’impatto che le scelte alimentari hanno sull’ambiente, dall’altra parte il tema su cui confrontarsi è quello degli investimenti da mettere in campo per sviluppare nuovi sistemi di produzione agricola che siano in grado di limitare il loro impatto sui cambiamenti climatici.

Secondo l’Index, i Paesi del G7 sembrano essere quelli più attenti alla “qualità della Ricerca & Sviluppo e all’innovazione nella produzione agricola”. Nella top 10 di questo specifico indicatore, sono ben 6 i Paesi più industrializzati presenti (unico del G7 a restare fuori è l’Italia con un punteggio di 43.52 su 100).

Molto bene il Regno Unito, che è primo con 78.72 punti, ma bene anche l’impegno degli Stati Uniti che si piazzano al settimo posto grazie ad un punteggio di 55.48, a dimostrazione della volontà di superare i limiti riscontrati nell’impatto ambientale che la produzione agricola fa registrare.

“Combinando tecnologie avanzate con i sistemi agricoli tradizionali e con le conoscenze indigene possiamo trovare modi per migliorare la produzione agricola e contribuire a salvaguardare l’ambiente", dichiara Danielle Nierenberg, presidente di Food Tank e membro dell’Advisory Board di Fondazione Barilla. Esistono alcuni esempi concreti di come le colture indigene e tradizionali possano dare risultati in tal senso, integrandosi con lo sviluppo tecnologico.

In Kenya, ad esempio, gli agricoltori che collaborano con World Agroforestry Center coltivano alberi che fissano l’azoto, fonte naturale di fertilizzante per le colture, un metodo che può incrementare la produzione fino al 300%. In Cambogia, gli agricoltori adottano la tecnica Sri (System of Rice Intensification) che incrementa la produttività del riso e consente di risparmiare risorse idriche, migliorare la consistenza del suolo e aumentare le rese fino al 150%.

E ancora, in Indonesia l’adozione di metodi di coltivazione naturali permette agli agricoltori che praticano il biologico di produrre 60.000 tonnellate di riso l’anno, abbattendo del 40% i costi di produzione.

Con l’intento di sensibilizzare l’opinione pubblica su questi temi, Barilla Center for Food & Nutrition con la Fondazione Thomson Reuters, hanno lanciato il Food Sustainability Media Award, premio internazionale rivolto a chi racconta i paradossi e le sfide del cibo, ma anche le soluzioni da mettere in campo per risolverle. Possono partecipare articoli, video e foto inediti o già pubblicati, legati alla sicurezza alimentare, alla sostenibilità, all’agricoltura e alla nutrizione.

Il premio, in particolare, si propone di far luce su tre paradossi che interessano il sistema alimentare mondiale: "Fame vs obesità" (per ogni persona malnutrita nel mondo ce ne sono due obese o sovrappeso); "Cibo vs Carburante" (un terzo del raccolto di cereali viene utilizzato per dare da mangiare agli animali o per produrre i biocarburanti, nonostante il problema della fame e della malnutrizione); "Spreco vs Fame" (ogni giorno vengono sprecati 1,3 miliardi di tonnellate di cibo commestibile, quattro volte la quantità necessaria a sfamare 795 milioni di persone malnutrite in tutto il mondo).

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