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Alimenti: olio di palma, dalla salute all'ambiente oltre i falsi miti

Alimenti: olio di palma, dalla salute all'ambiente oltre i falsi miti
05 ottobre 2016 | 16.37
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“La demonizzazione dell'olio di palma è la più grande bufala degli anni 2000”. Ne è convinto Giuseppe Allocca, presidente dell'Unione italiana per l'olio di palma sostenibile che oggi a Roma ha organizzato un incontro dal titolo “Olio di palma: parliamone” per fare chiarezza e sfatare tanti pregiudizi che circondano la sostenibilità della produzione dell'olio di palma. Qualche esempio: per sostituire il palma con la colza ci servirebbero 5 volte in più di terreni per avere la stessa quantità di olio che salirebbero a 6 volte di più per il girasole e addirittura a 9 volte più per la soia o a 11 in più per l’olio di oliva.

Insomma, secondo quanto riferisce l'Unione italiana per l'olio di palma sostenibile, per ottenere lo stesso quantitativo di olio di palma con la soia, servirebbe una superficie pari a 5 volte l’Italia. Stesso discorso per i pesticidi. Il palma impiega circa 2 Kg a tonnellata di pesticidi, molto meno del girasole (ne usa 6kg/t), della colza (11kg/t) o della soia (29kg/t).

E anche nei fertilizzanti le prestazioni sono migliori: per ottenere una tonnellata di olio, il palma necessita di 47 kg di fertilizzanti, mentre la soia impiega 315 kg. Ma la sostenibilità passa anche dalla quantità di energia utilizzata per la produzione: al palma servono 0,5 GJ (Gigajoule) per una tonnellata, alla colza 0,7 GJ (0,2 GJ in più) e alla soia 2.9 GJ (2,4 GJ in più).

In relazione all'impatto ambientale, Carlo Alberto Pratesi, professore di Economia e gestione delle imprese al dipartimento di studi aziendali dell'Università Roma Tre, spiega che sono tre gli indicatori da prendere in considerazione: “quanto terreno viene utilizzato, quanta CO2 viene prodotta e l'impatto in termini di acqua”.

Ebbene, “in tutti e tre gli indicatori il palma è il più sostenibile tra tutti gli oli vegetali perché non richiede irrigazione, ha un carbon footprint inferiore a tutti gli altri e da un punto di vista del terreno impiegato è molto più produttivo perché su poca superficie si riesce a produrre parecchio olio”.

Il problema, dunque, “è che proprio per queste sue caratteristiche ha avuto una domanda straordinaria per cui la pianta in sé è molto sostenibile ma le dimensioni in crescita della sua coltivazione possono portare degli effetti negativi primo fra tutti la deforestazione ed è proprio questo che l'olio di palma sostenibile cerca di combattere”.

In questo contesto, dunque, a fare la differenza è la certificazione. “Al momento, lo standard di certificazione maggiormente riconosciuto e utilizzato a livello globale è quello RSPO che garantisce che l’olio certificato è realizzato tutelando l’ambiente, la bio-diversità e i diritti dei lavoratori” spiega Pratesi.

L’olio di palma certificato sostenibile, dunque, sottolinea Allocca, “c’è ed esiste. Tutte le aziende utilizzatrici di palma aderenti all’Unione ormai da anni adoperano olio di palma 100% certificato RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil) e puntano, per il 2020, ad adottare criteri di certificazione ancora più stringenti rispetto a quelli attuali già di alto livello. Una scelta precisa che va incontro alla via suggerita dalle grandi organizzazioni internazionali e ambientaliste, come Greenpeace e Wwf International, che continuano a considerare il palma come uno degli oli vegetali più sostenibili”.

C'è poi tutto il capitolo che riguarda l'impatto sulla salute. In questi mesi, infatti, si sono moltiplicate le voci che esortano a escludere l’olio di palma dalla dieta quotidiana, in quanto accusato di contribuire in modo significativo all’intake di grassi saturi. Una bufala secondo Allocca che spiega: “questo ingrediente contribuisce per meno del 20% della quantità di grassi saturi che assumiamo giornalmente. Il restante 80% viene invece da altri alimenti".

Secondo Giorgio Donegani, Tecnologo alimentare e divulgatore scientifico che si occupa per l’Unione dei temi di salute e nutrizione in relazione al consumo di palma, le indicazioni dei nutrizionisti sono chiare e sintetizzabili in due punti: "i grassi saturi servono all’organismo e non dovremmo assumerne troppi. In questo contesto, è importante ricordare che il palma, come tutti gli ingredienti alimentari, non può essere demonizzato tout court, tant’è che la comunità scientifica è concorde nell’affermare che all’interno di una dieta bilanciata, non presenta rischi per la salute e pertanto non c’è motivo di sconsigliarne il consumo purchè non sia eccessivo”.

Quanto all’assunzione eccessiva di olio di palma tramite i prodotti per l’infanzia come, per esempio, i latti in polvere, Donegani precisa: “Premesso che l’allattamento al seno è sempre da preferire, c’è una ragione scientifica molto precisa se i latti formulati contengono più oli vegetali opportunamente selezionati per la prima infanzia. I latti formulati sono studiati appositamente per l’alimentazione del lattante in mancanza del latte materno".

"L’oleina di palma in particolare, contenuta nei principali prodotti per neonati, è una frazione specifica dell’olio di palma che viene utilizzata per apportare acido palmitico, sostanza nutritiva contenuta naturalmente nel latte materno. L’acido palmitico, infatti, è uno degli acidi grassi più presenti nel latte materno (25% circa degli acidi grassi) e l’oleina di palma viene usata proprio per garantire un apporto di questa sostanza nutritiva anche per il lattante che non può essere allattato al seno” conclude Donegani.

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