Formaggi, insaccati, vino. Prodotti che rappresentano l'eccellenza del Made in Italy, seguendo disciplinari stringenti e complessi, ma che si trovano a dover fare i conti in Europa con competitors che non rispettano le stesse regole. Dalla mozzarella al prosciutto, succede che l'Ue penalizzi, invece di tutelare, l'agroalimentare di qualità in virtù del principio di libera circolazione delle merci. Ed è così che due prosciutti su tre e due mozzarelle su quattro in commercio non sono davvero italiane come il consumatore è portato a credere. Esponendo i nostri produttori a fare i conti con una concorrenza che la Coldiretti non esista a definire "sleale".
"Noi calcoliamo che circa il 50-52% degli alimenti circola sul mercato senza alcuna informazione sull'origine della materia prima di cui sono composti, perché tale indicazione per l'Ue non è obbligatoria, con la scusa di tutelare la libera circolazione delle merci", denuncia all'Adnkronos Rolando Manfredini, responsabile Qualità di Coldiretti.
Ed è così che di alcuni alimenti, come il latte a lunga conservazione (che rappresenta il 50% dei consumi), non si conosce la provenienza. "E questo vale per tutti i trasformati: dal concentrato di pomodoro ai salumi ai formaggi", sottolinea Manfredini. Un caso che fa scuola: la mozzarella, il formaggio più consumato in Italia, che grazie all'Ue "può essere prodotta in Italia ma con latte proveniente dall'estero o addirittura utilizzare la cagliata al posto del latte fresco".
O ancora, il prosciutto: "in Italia sono oltre 60 milioni le cosce, che poi verranno trasformate in prosciutti, di cui non si conosce la provenienza perché manca l'obbligo dell'indicazione di origine - sottolinea il responsabile Coldiretti - Da dove vengono, non si sa. Si sa solo che vengono trasformate in Italia". Il risultato? Due prosciutti su tre sono stranieri ma non si vede.
Una omissione che, secondo la Coldiretti, causa anche problemi di sicurezza alimentare "perché la sicurezza dipende anche da come vengono gestiti allevamenti e coltivazioni. In Italia, il Paese con più indicazioni geografiche, sottoposte a disciplinari severi, ci sono controlli rigidissimi che altrove non esistono e questa è concorrenza sleale".
Intanto, l'Ue vuole far incorrere l'Italia in una procedura di infrazione "perché qualcuno ha segnalato che il nostro Paese vieta l’utilizzo di latte in polvere per fare i formaggi, cosa che da noi è garanzia di alta qualità. Se così non fosse, i nostri 500 formaggi tradizionali potrebbero essere prodotti tranquillamente con latte in polvere" con tutte le conseguenze del caso sull’attività delle nostre imprese, soprattutto agricole, "perché con i nostri prodotti di qualità diventerebbero tutti sostituibili".
Basta pensare all'esistenza, del tutto legale, dei formaggi cosiddetti “simil grana”. "In Italia abbiamo due Dop importanti, il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano, che subiscono la concorrenza sleale di questi 'simil grana' il cui latte però non si sa da dove arriva, o da quali vacche e che alimentazione seguono gli animali. Prodotti che competono sul basso prezzo che causa danni importanti", continua Manfredini.
Dal formaggio al vino. Anche qui si grida allo scandalo, con l'Ue "che permette in alcuni stati l’aggiunta di zucchero al vino, che da noi è vietata". Senza dimenticare il paradosso della cioccolata senza cacao perché "l'Ue permette l’aggiunta di grassi vegetali alternativi al burro di cacao". Stesso problema per le carni fresche. L’Ue ha stabilito recentemente l'indicazione obbligatoria per pollame e carne suina fresca, non per il cavallo e il coniglio. "Con conseguenze come l’horse-gate, lo scandalo della carne equina ritrovata laddove non dovrebbe esserci".
"Rendere obbligatoria l’indicazione della materia prima non è andare contro la libera circolazione delle merci ma significa dire no alla mozzarella alla cagliata", conclude Manfredini.
Tema che sta a cuore anche alla Confederazione italiana della piccola e media industria. Per Angelo Bruscino, presidente dei giovani imprenditori di Confapi, "sebbene l'Italia sia la seconda agro-economia in Europa, oggi in Ue incidiamo poco e subiamo regolamenti che avvantaggiano nazioni che approfittano del cosiddetto 'italian sounding', con prodotti che se prima circolavano soprattutto nei mercati asiatici, oggi interessano proprio i Paesi europei. E se non riusciamo a imporci in casa nostra, questo rischia di diventare davvero un problema".
"L’invito che rivolgiamo al ministro Martina, che pure sta facendo bene, è di ribadire in Ue che l'Italia potrebbe diventare il treno europeo per riscoprire una filiera dell’agroindustria che possa diventare un faro per il mondo intero", dichiara Bruscino che sottolinea il danno d'immagine, di tradizione ma anche economico causato dal fenomeno dell'italian sounding. "Una perdita di fatturato valutata in decine di miliardi e in decine di migliaia di posti di lavoro. Oggi in Italia ci sono 1milione e 600mila aziende dell’agroalimentare, potremmo fare di più ma bisogna combattere l’italian sounding il cui primo mercato di riferimento è proprio quello europeo - sottolinea - i primi produttori di 'mozzarella' sono i tedeschi, di 'Montepulciano' i rumeni. Dobbiamo proteggere i nostri marchi registrati o il Paese rischia di dare un segno di debolezza".