L'80% delle imprese italiane con oltre 80/100 dipendenti dichiara di impegnarsi in iniziative di responsabilità sociale d'impresa, per un investimento globale che ha raggiunto la cifra di 1 miliardo e 122 milioni di euro nel 2015. Lo rileva il VII Rapporto di indagine sull’impegno sociale delle aziende in Italia a cura dell’Osservatorio Socialis in collaborazione con Baxter, FS Italiane, Prioritalia e Terna dal quale emergono i dati più elevati percentualmente degli ultimi 15 anni.
Secondo Roberto Orsi, direttore dell'Osservatorio Socialis, si tratta "di una vera e propria inversione di tendenza i cui effetti saranno ancor più evidenti tra pochi mesi, quando l'Italia recepirà la direttiva Ue 95/2014 che impegna le imprese di grandi dimensioni e imprese che costituiscono enti di interesse pubblico, a rendicontare anche le informazioni di carattere non finanziario. Un cambio di passo significativo, che premierà chi sarà in grado di integrare i comportamenti socialmente responsabili con l'organizzazione aziendale".
In particolare dal rapporto emerge che nel 2014, anno di riferimento del precedente rapporto, le imprese che dichiaravano di impegnarsi nella responsabilità sociale d’impresa erano il 73% del campione. Nel VII rapporto questo dato cresce: ad attuare una strategia di Csr (Corporate social responsability) è l'80% delle imprese italiane con più di 80 dipendenti.
Superato l'impatto della crisi economica di questi anni, la cifra media investita nel 2015 è mediamente di 176mila euro, superiore a quella del 2013 dell'11% (investono cifre superiori alla media i settori della finanza, l’industria elettronica e farmaceutica). Più imprese attive in Csr generano una crescita del totale investito del 22% rispetto a due anni fa, per un totale di 1 miliardo e 122 milioni di euro. Anche la previsione relativa al budget dedicato nel 2016 è in aumento (+4% rispetto al 2015).
La scelta del tipo di iniziative di Csr da attuare varia a seconda dei settori produttivi: il finance predilige soprattutto benessere interno e cultura; i trasporti sono attivi soprattutto sull'ambiente; l’elettronica/informatica/telecomunicazioni è più attento a clima interno, ambiente e cultura; la chimica/farmaceutica si focalizza su sviluppo delle comunità locali e cultura; la meccanica predilige attività di Csr per i processi e i prodotti sostenibili; il manifatturiero sceglie maggiormente attività per i processi e prodotti sostenibili e lo sviluppo delle comunità locali; il metallurgico e i servizi dedicano attenzione più verso il benessere interno e l’ambiente.
Quanto al terreno prescelto per le proprie attività di responsabilità sociale, a parte l’interno dell’azienda (scelto dall'83% delle aziende) le altre attività di Csr si concentrano in prima battuta sul territorio locale dell’azienda (36%); solo il 9% sceglie di intervenire all'estero. Dunque con la Csr le aziende cercano anche un miglioramento nei propri “rapporti di vicinato”.
L'interesse al miglioramento d'immagine dell'azienda resta la motivazione principale per puntare su attività di Csr, anche se passa dal 47% dello scorso rapporto al 29% dei dati del 2016; l'attenzione per lo sviluppo sostenibile si afferma invece al secondo posto, con il miglioramento del clima interno che scende al 20% dei voti; in generale i vantaggi fiscali/economici rappresentano una variabile che incide moderatamente sulle motivazioni delle aziende, mentre l'obiettivo di fidelizzare i clienti passa dall'8% al 17%.
La spinta al cambiamento arriva dalle aziende stesse: 20 intervistati su 100, infatti, ritengono che i promotori della Csr in Italia siano le aziende stesse, seguite da consumatori (15%) e terzo settore (14%); resta abbastanza residuale e limitato l'impatto delle istituzioni nazionali: le amministrazioni locali sono indicate da 9 intervistati su 100; le Istituzioni nazionali solo da 4 intervistati su 100.
Elementi di freno agli investimenti sembrano essere la mancanza di incentivi fiscali e la mancanza di risorse economiche; il 16% segnala anche l'assenza di una cultura manageriale orientata alla Csr e di personale qualificato, mentre il 12% lamenta la mancanza di una qualificazione specifica rintracciabile nel personale. Non a caso, quasi il 70% degli intervistati ritiene che una specializzazione in Csr e/o sostenibilità ambientale possa rappresentare un elemento di distinzione nel curriculum.
Dal rapporto, inoltre, emerge che il numero di aziende che ha adottato un proprio codice etico resta sostanzialmente stabile, al 77%; più del doppio delle aziende, rispetto a due anni fa, dichiara di redigere un bilancio ambientale (63%), mentre 57 aziende su 100 redigono sia il bilancio ambientale che quello sociale. Le linee guida maggiormente seguite sono Norma ISO 14001 sull’impatto ambientale, seguita da quella 26000 dell’impatto su società e ambiente, benché le aziende non attive in Csr siano ancora poco informate a riguardo. Tuttavia, l'80% delle imprese conosce la Direttiva 95/2014.
A guidare gli investimentI è il risparmio energetico: 44 imprese su 100 si adoperano per migliorare la propria efficienza energetica, 40 su 100 si concentrano sulla modifica dei processi o dei prodotti aziendali; in generale, prevale la scelta ambientale su quelle sociale e di solidarietà: tutte le attività ad impatto sociale, infatti, trovano posto nella seconda metà della classifica.
Sempre il rapporto, a sostenere la spinta virtuosa sono i consumatori, che premiano le aziende più etiche, mentre le istituzioni nazionali sono attese al varco del recepimento della direttiva UE 95/2014, che dovrà regolare la rendicontazione delle imprese con più di 500 dipendenti in tema di ambiente, politiche di genere, diversità, politiche sociali, anticorruzione.