Da EcoMuvi, il primo disciplinare europeo di sostenibilità ambientale per la produzione cinematografica, le linee guida per analizzare l'impatto ambientale di una produzione e per ridurlo, non soltanto compensando, ma adottando comportamenti di risparmio, rispetto e uso intelligente delle risorse
possibile ridurle del 20% seguendo le indicazioni di EcoMuvi
Industria dei sogni ma pur sempre industria. Così il cinema, insieme con storie indimenticabili, produce anche Co2, rifiuti ed emissioni varie. In Italia l'industria cinematografica produce circa 5.600 tonnellate di Co2 l'anno, tra consumi di energia, trasporti dei set, uso dei materiali e gestione dei rifiuti.
Ma modi per ridurli di circa il 20% ce ne sono. Su tutti, le indicazioni formulate da EcoMuvi, il primo disciplinare europeo di sostenibilità ambientale per la produzione cinematografica che fornisce le linee guida per analizzare l'impatto ambientale di una produzione e per ridurlo, non soltanto compensando, ma adottando comportamenti di risparmio, rispetto e uso intelligente delle risorse.
Tema protagonista oggi a Venezia in occasione del workshop "La Green Economy nel cinema", organizzato nell'ambito del Green Drop Award.
Il disciplinare è stato ideato da Carlo Cresto-Dina, produttore cinematografico de La Tempesta Film. Se tutte le produzioni seguissero le indicazioni EcoMuvi si realizzerebbe una riduzione delle emissioni pari a 1.120 tonnellate di Co2, equivalenti a quelle relative all'illuminazione pubblica annuale di un comune di oltre 10.000 abitanti.
Il disciplinare prevede l'analisi di un piano delle riprese in base alla quale stabilire quali azioni di risparmio si possono mettere in pratica: si va dalle stoviglie biodegradabili al posto dei lunch box all'allaccio alla rete elettrica locale per evitare l'uso di gruppi elettrogeni ad alto consumo, alla riorganizzazione dei trasporti, attraverso car pooling, car sharing e biciclette per razionalizzare l'utilizzo di carburante e diminuire il numero di vetture in circolazione.
"Esistono già film che dichiarano lo 'zero carbon footprint', ma a noi interessava andare oltre, non soltanto compensare. Ci interessava studiare un modo di fare attivo, un atteggiamento iniziale di risparmio, rispetto e uso intelligente", spiega Carlo Cresto-Dina.
"Sul set si mangia, si cuce, si produce energia, si dipinge, si costruisce e si distrugge, si bagna e si asciuga. Inventare un disciplinare per un set cinematografico è come studiare l'impatto di un villaggio contemporaneo", aggiunge il produttore.
"Il cinema può fare molto per l'ambiente, in termini di divulgazione di stili di vita sostenibili, di promozione del patrimonio artistico, culturale e ambientale e, sotto il profilo tecnologico, per ridurre gli impatti della stessa industria dello spettacolo", aggiunge Marco Gisotti, direttore del Green Drop Award.
Si tratta di un settore strategico anche per lo Stato: un recente studio di Anica ha dimostrato che per ogni euro di investimento pubblico, all'erario ne tornano indietro cinque, mentre per quanto riguarda gli investimenti delle Film Commission regionali, ogni euro investito ha una ricaduta sulle economie locali di nove euro (13 in Friuli).
In occasione del workshop di oggi a Venezia è emersa la necessità che anche a livello istituzionale più alto i ministeri dell'Ambiente e della Cultura, nonché quello delle Attività Produttive, forniscano direttive e specifichino in che modo l'industria cinematografica può diventare più verde. Non solo finanziamenti, defiscalizzazioni o crediti di imposta, ma anche, per esempio, formazione verde per i lavoratori del settore.
Perché lo spettacolo non è certamente solo impatto ambientale, ma anche vera e propria green economy: gli occupati "verdi" del settore (cinema, video, radio-TV) secondo Unioncamere Nazionale e Fondazione Symbola sono 1.400.