Ci siamo. Entro mezzanotte l'esecutivo dovrà inviare a Bruxelles la prima manovra targata giallo-verde, tuttavia sono ancora tanti i nodi da sciogliere tra cui quello spinoso delle coperture finanziarie. Sebbene siano stati stanziati 37 miliardi, infatti, sembra che le risorse a disposizione non siano sufficienti a coprire tutte le misure in cantiere. Ecco perché anche il governo guidato da Lega e M5S, come quelli precedenti, potrebbe puntare ad un blocco della rivalutazione delle pensioni per ottenere rapidamente dei risparmi. Introdotto dal governo Monti nel 2011, il blocco degli assegni pensionistici è stato poi confermato nel 2013 dall'esecutivo guidato da Enrico Letta, che ha fissato un sistema basato su 5 scaglioni di reddito con relative percentuali di rivalutazione valido per una fase transitoria con scadenza nel 2016, poi prorogata fino al 2018.
In assenza di novità legislative, quindi, dal 1° gennaio 2019 tornerebbe in vigore il meccanismo della perequazione, lo strumento con cui gli importi delle pensioni vengono adeguati all'aumento del costo della vita rilevato dall'Istat. In particolare, a partire dal prossimo anno sarebbero reintrodotte le percentuali previste dalla legge 388/2000, secondo cui l'adeguamento sarà pari al 100% degli indici Istat per gli importi fino a 3 volte il minimo, del 90% tra 3 e 5 volte il minimo Inps ed del 75% per gli importi oltre le 5 volte. In questo modo le pensioni, in caso di aumento dell'inflazione, sarebbero più alte, comportando quindi una spesa più onerosa per le casse dello Stato. Da qui l'ipotesi che il governo intervenga, ancora una volta, per 'bloccare' gli assegni pensionistici impedendone l'adeguamento in base all'inflazione.