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Giustizia e burocrazia, conto da 40 miliardi per le imprese

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20 maggio 2018 | 13.14
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La giustizia in Italia tiene in scacco le imprese: lentezza delle indagini, burocrazia e inefficienze costano circa 40 miliardi di euro, pari a 2,5 punti di Pil. L'incertezza dei tempi processuali si traduce in meno investimenti esteri e in una perdita di 130mila posti di lavoro, secondo l'ultimo studio Cer-Eures. Il dedalo di norme e i ricorsi nelle aule dei tribunali rappresentano un freno alla capacità imprenditoriale e allo sviluppo economico del Paese. Rivolgersi a un giudice del Tar è diventata la regola più che l'eccezione.

Sequestri preventivi e stop agli impianti si trasformano, talvolta, nell'anticamera del fallimento, eppure le inchieste giudiziarie possono chiudersi dopo anni con la piena assoluzione. Dal caso Ilva al calvario dei piccoli imprenditori finire nel registro degli indagati può costare caro. In Italia, in media, ci vogliono 991 giorni per arrivare a una sentenza nel settore del civile: oltre il doppio di Spagna (510), Germania (429) e Francia (395). Profonde le differenze lungo la Penisola: la distanza regionale sfiora i 1.300 giorni, protagoniste Piemonte (543) e Campania (1.813); tra province il gap è quasi di 6.000 giorni, dai 422 a Treviso ai 6.236 di Napoli, pari a oltre 16 anni. Se un processo durasse quanto uno tedesco, si guadagnerebbero posti di lavoro, mille euro di reddito pro-capite ed effetti positivi sull'erogazione del credito.

Quando poi è la pubblica amministrazione a tardare consegna di documenti o pagamenti, il rischio è che il creditore diventi vittima dell'erario. "Bisogna intervenire affinché l'amministrazione rispetti i termini che la legge definisce in modo obbligatorio. Più che consentire, in astratto, indennizzi e risarcimenti per i ritardi, la vera sanzione sarebbe considerare illegittimo il provvedimento che arriva fuori tempo massimo", spiega all'Adnkronos Miriam Allena, docente di diritto amministrativo all'Università Bocconi.

Una giustizia più rapida non può prescindere da una Pubblica amministrazione più efficiente", eppure il costo della burocrazia per le pmi è di "22 miliardi di euro all’anno", secondo dati Cna, la Confederazione nazionale dell'Artigianato e della Piccola e media impresa. Il 41,3% (su un campione di oltre mille associati) impegna fino a tre giorni al mese per terminare gli adempimenti richiesti dalla Pa e nel 32,2% dei casi servono fino a cinque giorni.

Le norme poco chiare complicano la vita e vanno aggiunte alle "resistenze culturali: ogni amministrazione, ad esempio, aggiunge proprie richieste a chi deve compilare l'autorizzazione unica in materia ambientale, annullando così il tentativo di semplificazione", evidenzia l'esperta Allena. Tra chi lotta alla "sburocratizzazione della Pa", c'è Mario Resca, presidente Confimprese. "Aprire nuovi esercizi commerciali significa creare lavoro in un Paese che ha ancora uno dei tassi di disoccupazione più alti d’Europa", dice all'Adnkronos.

Ogni giorno di ritardo è un danno per l'impresa. "La legge fissa i pagamenti entro 30 giorni, ma in media i Comuni impiegano da tre mesi a un anno per saldare i debiti. La Pubblica amministrazione italiana salda i fornitori dopo 144 giorni, contro i 38 della Ue: 106 giorni in più della media europea", dai dati Cna, che chiede di "intervenire sulle agevolazioni sul recupero credito giudiziale" e di "estendere la competenza delle Sezioni specializzate in materia di impresa anche alle cause relative alle società di persone". Nel Tribunale delle imprese, il tempo per la sentenza è di 970 giorni nel 2016, contro gli 870 del 2015, e aumenta l'arretrato.

Sul fronte della giustizia amministrativa, il ricorso al giudice costituisce spesso la regola e non l'eccezione. I tempi medi di definizione, in materia di appalti pubblici, sono di 149 giorni per il Tar nel 2016 (193 nel 2015), mentre in appello la media ne indica 225 (209 nel 2015). Nei giudizi cautelari, la durata si attesta sui 29 giorni per il Tribunale (come nel 2015) e di 58 giorni per il Consiglio di Stato (37 nel 2015).

Il numero dei ricorsi in materia di appalti dinanzi ai Tar è 3.565 nel 2015 e 3.329 nel 2016; per il 2015 sono stati impugnati il 2,61% degli appalti banditi, il 2,67% per i 12 mesi dopo. In oltre la metà dei casi gli appalti impugnati hanno un valore superiore a un milione di euro. Le sospensive costituiscono circa il 30% delle ordinanze emesse "il che significa che meno di un terzo delle procedure impugnate sono sospese in sede cautelare", secondo un'indagine del Consiglio di Stato.

Il cosiddetto 'effetto bloccante' del ricorso al Tar impatta sullo 0,7% sul totale delle procedure bandite: per 959 delle 136.645 procedure nel 2015 e per 849 delle 120.628 dell'anno successivo. "Più del luogo comune che il 'Tar blocca tutto' - chiosa la Allena -, bisogna valorizzare forme alternative di risoluzioni delle controversie. La possibilità concessa all'Anac di una 'raccomandazione vincolate' evitava il contenzioso, ma il correttivo al Codice dei contratti l'ha eliminata. I tempi certi per le imprese darebbero una vera spinta al Paese".

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