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La storia

"Ho comprato casa da mio fratello, ora il fisco vuole 58mila euro"

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28 ottobre 2017 | 12.25
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La retorica del fisco 'amico', del fisco "consulente e non controllore" per dirla con il direttore generale dell'Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini, resta per ora solo un buon proposito. La realtà è un'altra. E' quella, documentata dall'Adnkronos, di una sanzione monstre da 58mila euro per una contribuente accusata di aver nascosto una plusvalenza sulla compravendita di un immobile: una casa acquistata da suo fratello, a una cifra che compensava quei passaggi di denaro tra genitori e figli che avvengono in tutte le famiglie italiane, e poi rivenduta al valore di mercato.

A far scattare il controllo del Fisco è stata l'ingenuità della contribuente, complice l'imperizia di un notaio, che non ha atteso lo scoccare dei cinque anni tra l'acquisto e la vendita, che avrebbe liberato l'operazione dall'obbligo di dichiarare la plusvalenza. Bastava vendere sei mesi dopo per evitare qualsiasi questione. Nessun vantaggio fiscale, non euro risparmiato né tanto meno evaso, come emerso durante il contraddittorio. Ma non sono bastati sei mesi di 'trattative' e un atto di rettifica del prezzo di acquisto dell'immobile e di quietanza, concordato con gli uffici e costato alla contribuente oltre 3mila euro tra notaio e registrazione in Agenzia, per riuscire a disinnescare i meccanismi implacabili della macchina del Fisco.

L'Amministrazione ha applicato le norme, non c'è dubbio. Ma lo ha fatto confezionando un perfetto 'caso di scuola' per rappresentare quello che il Fisco non dovrebbe essere: un controllore inflessibile e privo di discrezionalità, che non riesce a distinguere un contribuente onesto da un evasore incallito, con una sanzione talmente sproporzionata da rendere inevitabile la lunga strada del contenzioso.

La compravendita dell'immobile, stando ai due atti rispettivamente del luglio 2008 e del dicembre 2012, produce una plusvalenza di 150mila euro. Deriva dalla differenza fra il prezzo di vendita (270mila euro) e quello di acquisto della casa, ceduta dal fratello della contribuente (120mila euro). Come avviene spesso all'interno delle famiglie, la somma più bassa è stata poi ampiamente compensata successivamente, arrivando a un prezzo effettivo di acquisto di 280mila euro. Per questo, su suggerimento degli stessi uffici dell'Agenzia, è stato presentato un atto di rettifica e quietanza che attesta il conguaglio del prezzo con due bonifici successivi alla vendita, rispettivamente di 90mila e 70mila euro. Ma non è servito a nulla. L'Agenzia ha ritenuto che "il riferimento preciso alla compravendita nella causale dei bonifici fosse elemento indispensabile per dimostrare il maggior valore dell'acquisto". Riferimento che nei bonifici, evidentemente, non c'è. Per questo, è scattata una sanzione da 57.807 euro.

Ora la contribuente si trova di fronte a un bivio. Pagare subito la sanzione ridotta a un terzo, quasi 20mila euro, e rinunciare al ricorso, oppure scegliere la via del ricorso, pagare subito 25mila euro, e sperare di farsi dare ragione da un giudice. La terza opzione è quella peggiore. Se non chiede la riduzione delle sanzioni e non presenta ricorso nei termini, la contribuente dovrà versare all'Erario la somma di imposte, sanzioni e interessi, calcolati per intero, che arriva a 133mila euro.

Comunque, la decisione deve essere rapida. Notificato l'accertamento il 23 ottobre, scattano dal 31 ottobre, e per ogni giorno, ulteriori interessi al tasso del 4%. L'avviso di accertamento dettaglia le diverse opzioni ma costringe evidentemente la contribuente a verificarne la percorribilità con l'ausilio di un commercialista e di un legale. Così, già la sola decisione sulla strada da intraprendere comporta nuove spese, da sommare a quelle già sostenute per tentare di far valere la buona fede e, nelle aspettative tradite dal comportamento degli uffici, il buon senso.

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