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Lavoro: Ist. Toniolo, 47% giovani italiani pronti ad adattarsi

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20 agosto 2016 | 12.00
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E' aumentata molto negli ultimi anni la disponibilità dei giovani ad adattarsi al lavoro e di continuare a cercare di vedere positivamente la propria vita. Infatti gli italiani tra i 18 e i 32 anni ai quali è stato chiesto di valutare con un voto da 1 a 5 il senso di soddisfazione sulla propria vita raggiungono in media un valore pari a 4,3. Sono questi i dati emersi dal "Rapporto Giovani" - promosso dall'Istituto Toniolo di Studi Superiori con il sostengo di Intesa Sanpaolo e Fondazione Cariplo - presentati al Meeting di Rimini da Alessandro Rosina, docente di demografia all'Universita' Cattolica del Sacro Cuore è uno dei curatori del Rapporto giovani.

In un contesto di perdurante difficoltà nel mondo del lavoro l'autorealizzazione viene messa in secondo piano rispetto al reddito, soprattutto nelle classi sociali medio basse. E la remunerazione è infatti uno dei principali punti dolenti della qualità del lavoro svolto, assieme alla non sempre stretta coerenza con il proprio percorso formativo. Questa condizione di adattamento riguarda tutti, ma è ancora più forte per chi ha un lavoro a tempo determinato (49,3%).

In tutte le dimensioni considerate - non solo sull'aspetto della stabilità - il lavoro a tempo determinato risulta su valori più bassi rispetto a quello indeterminato. L'unica eccezione è il rapporto con i superiori, forse anche per la necessità di mantenere relazioni positive per il rinnovo del contratto (76% per il tempo determinato e il 68,4% per il lavoro autonomo.

Al punto più basso si trovano i Neet, chi non studia e non lavora

Sempre dal Rapporto Giovani emerge che la maggior stabilità di chi ha un lavoro a tempo indeterminato e la soddisfazione complessiva verso il lavoro sono legate positivamente sia alla soddisfazione per la propria vita e le scelte fatte , sia come atteggiamento positivo verso il proprio futuro.

Al punto più basso si trovano i Neet, i giovani che non studiano e non lavorano. La loro soddisfazione per la vita raggiunge 3,7 punti in media su 5, contro un valore pari a 4,3 di chi ha un lavoro instabile e 4,8 per chi ha un lavoro a tempo indeterminato. I Neet sono anche la categoria che meno è sicura delle scelte fatte nella propria vita. Il punto centrale della scala è 3 e il voto alle scelte fatte finora è solo di poco superiore a tale soglia per i Neet (3,4).

Infine, tra gli under 30 che vivono con i genitori, la percentuale di chi progetta l'uscita entro un anno dall'intervista è pari a poco più di un quarto nella fascia 18-24 e a poco più di un terzo nella fascia 25-29. Valori non elevati se si pensa che la maggioranza dei giovani europei vive in autonomia dopo i 25 anni. Esistono però differenze marcate sia rispetto alla presenza del lavoro sia al tipo di lavoro: per chi ha un contratto a tempo determinato si sale al 45 percento di intenzioni positive di uscita, mentre tra i Neet non solo il valore è molto basso (23 percento) ma rimane sostanzialmente fermo all'aumentare dell'età. Un chiaro segnale di progetti di vita che vengono rinviati e che progressivamente si trasformano in rinuncia definitiva.

Risultati che mostrano come lo scadimento delle opportunità di occupazione e la qualità del lavoro stiano fortemente erodendo il futuro delle nuove generazioni. L'elevata percentuale di Neet tra gli under 30 in Italia (il cui valore assoluto, superiore ai 2 milioni e 200 mila, è il più elevato in Europa) non compromette solo le vite lavorative dei giovani ma costituisce un enorme macigno sulla sostenibilità sociale, sulle dinamiche demografiche e sullo sviluppo economico dell'intero paese.

"Il tema del lavoro - spiega Alessandro Rosina - è molto sentito dai giovani italiani e dalle loro famiglie. Già prima della crisi economica il tasso di occupazione giovanile risultava essere uno dei più bassi in Europa. L'Italia è uno dei paesi avanzati che con l'entrata in questo secolo meno si sono rivelati capaci di dotare i giovani di strumenti adatti per essere attivi e intraprendenti nel mondo del lavoro".

"Come conseguenza - aggiunge Rosina - i giovani, anziché essere protagonisti positivi di processi di innovazione e inclusione che rendono più competitiva l'economia e più solida la società, si trovano relegati ai margini, dipendenti a lungo dai genitori, con progetti professionali e di vita bloccati".

"L'Italia è anche uno dei paesi - aggiunge Rosina - che meno hanno aiutato i giovani a proteggersi dai rischi della crisi. La combinazione di carenze strutturali persistenti ed impatto congiunturale della crisi ha portato l'Italia ad essere tra i paesi in Europa con più alta percentuale di under 30 che non studiano e non lavorano e che non hanno formato una propria famiglia con figli".

"Eppure i giovani italiani - conclude Rosina -non sono rinunciatari. Hanno in partenza progetti di vita importanti da mettere in atto e un atteggiamento positivo verso il lavoro. Dove questi progetti sono incentivati a realizzarsi producono risultati rilevanti ma diventano anche un riscontro positivo che consente di trovare fiducia e determinazione nella costruzione del proprio futuro. Dove questo incoraggiamento manca il rischio è quello dello scoraggiamento e della revisione verso il basso dei propri obiettivi, fino anche alla rassegnazione e al rischio di marginalizzazione sociale".

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