C'è forte preoccupazione nelle 30 mila imprese balneari italiane che occupano circa 100.000 addetti diretti . Dopo il 31 dicembre 2020, oppure prima se la Corte di Giustizia europea decidesse a sfavore dello Stato Italiano, le concessioni delle spiagge dovrebbero andare alle aste, per l’interpretazione data dalla Ue alla direttiva Bolkestein. E per gli imprenditori balneari - che considerano errata tale interpretazione - si delinea un futuro molto incerto. C'è il rischio, sostengono gli imprenditori balneari, che le spiagge si trasformino in veri e propri resort mettendo in ginocchio le piccole imprese familiari, spina dorsale del settore. Anche perché queste aziende rischierebbero di essere tagliate fuori non essendo previsto alcun diritto, tra cui un ipotetico 'diritto di prelazione', che tra l'altro è stato abolito con la legge 25 del 2010. Le gare, infatti, dovranno essere aperte a tutti con una evidenza pubblica.
Con le misure previste dalla riforma delle concessioni balneari italiane, spiega all'Adnkronos Piero Bellandi, consigliere nazionale del Sindacato italiano balneari (Sib), "si rischia una 'resortizzazione' delle spiagge italiane. Prima di far fuori un modello turistico che ha portato benessere e occupazione bisognerebbe discutere del nuovo modello di business che si intende fare. Se c'è un interesse dei grandi gruppi del settore è perché noi abbiamo investito molto in questi anni. Basta pensare che dal 2000 al 2008, prima della presa di coscienza della Direttiva Servizi, nella sola Versilia sono stati investiti oltre 400 milioni di euro".
Un cambiamento epocale quindi che potrebbe arrivare prima del previsto. Tra i balneari e non, c'è tanta attesa per la pronuncia della Corte di Giustizia europea sulla validità della proroga al 2020 messa in dubbio da due sentenze dei Tar Lombardia e Sardegna.
Una pronuncia, su cui si sono costituiti in giudizio sia i sindacati di categoria sia l'Avvocatura di Stato, che potrebbe arrivare a settembre ma che potrebbe slittare addirittura all'inizio del 2016 mentre la data di scadenza per la concessione delle spiagge, in caso di non proroga, è fissato al 31 dicembre 2015. La proroga al 2020 è essenziale per effettuare nel miglior modo possibile il riordino normativo di un settore, il turismo balneare, che da solo vale più di 6 miliardi di euro l'anno.
Tra le richieste dei balneari c'è quella della proroga delle concessioni esistenti per almeno 30 anni a partire dal 31 dicembre 2020 mentre attualmente non esiste una benché minima ipotesi di durata; c'è quella del diritto delle imprese balneari di rivendicare un periodo indeterminato di attività, con l’unico limite della concorrenza, quella vera, che fa il mercato, con esclusione del ricorso alle aste; infine ma forse da mettere al primo posto, c'è quella di una moratoria urgente a favore delle imprese balneari pertinenziali. In alcuni paesi membri dell'Ue le concessioni sono state prolungate di 30, 50 o addirittura 75 anni. E' il caso ad esempio in Spagna e in Portogallo.
"Noi - sottolinea Bellandi - siamo imprese a tutti gli effetti e un'azienda deve avere un orizzonte temporale conosciuto, misurabile altrimenti non ci possono essere investimenti. Ci vuole certezza per programmare degli investimenti sulle strutture e sulle attrezzature".
Intanto la conferenza Stato-Regioni lavora sul 'doppio binario' per evitare le conseguenze della Bolkestein. Il 'doppio binario' prevederebbe di partire subito con l'asta pubblica per le spiagge libere e prorogare le attuali concessioni per le spiagge già occupate. "Il 'doppio binario', non è la migliore opzione possibile, ma può essere un palliativo", sottolinea Bellandi evidenziando come la direttiva Bolkestein non dovrebbe riguardare le concessioni demaniali marittime.
Infatti la direttiva prevede l'obbligatorio ricorso a procedure selettive, trasparenti, imparziali e adeguatamente pubblicizzate per la scelta dei candidati soltanto 'qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali limitate o delle capacità tecniche utilizzabili'. In questo caso, invece, "nessuna delle due circostanze può essere direttamente ascritta al demanio marittimo: quando ci si riferisce a risorse naturali limitate ci si riferisce a risorse esauribili per estrazione o per consumo e la presenza di oltre 8.000 km di costa, dei quali meno di un quarto sono in concessione, per il cui generico uso non sono necessarie competenze particolari dal punto di vista professionale, sembrano dimostrarlo in modo netto".
Con l'impegno delle imprese balneari, rileva Bellandi, "abbiamo valorizzato" le spiagge. "Non siamo usurpatori". Quello che vogliamo, spiega ancora, "è l'esclusione delle aste; una durata delle concessioni congrua per ammortizzare gli investimenti effettuati; il riconoscimento di un indennizzo a carico dell'eventuale concessionario che subentrerà e a favore di quello uscente legato al valore commerciale dell'impresa; la possibilità del venir meno della persistente natura demaniale della fascia destinata ai servizi, il cosiddetto arenile, con un suo possibile conferimento nel patrimonio disponibile e un suo conseguente passaggio mediante contratti privatistici (locazioni e affitti) ai concessionari già proprietari delle infrastrutture".