Impietosa fotografia del Centro Studi di Condustria: il Brasile sale in settima posizione, il nostro Paese ne ha perse tre in sei anni. E tra il 2000 e il 2013 la manifattura made in Italy è crollata di oltre un quarto. E’ proseguita anche la massiccia erosione della base produttiva: dal 2001 al 2013, la crisi ha fatto perdere circa 1 milione 160mila occupati e bruciato oltre 120 mila fabbriche. Squinzi: “E’ un bollettino di guerra”
Il Brasile conquista il settimo posto nella classifica delle potenze industriali mondiali mentre l’Italia arretra ancora scivolando all’ottavo posto e perdendo tre posizioni in sei anni. E’ il Centro studi di Confindustria a fotografare così la corsa industriale dei paesi emergenti.
L’Italia dunque resta ancora l’ottava potenza del mondo, insieme alla Francia, con una quota sulla produzione manufatturiera totale pari al 2,6%. In testa alla classifica, invece, la Cina è saldamente al primo posto con un balzo di 22 punti percentuali in poco più di 10 anni e di 16 punti solo negli ultimi cinque con una quota al 30,3%. Distanziati sia gli Stati Uniti, al secondo posto con il 14,3%, che il Giappone, al terzo posto con un a quota del 7% sulla produzione manufatturiera mondiale. Gli emergenti, perciò, annota ancora il Csc, “continuano a correre” e dal confronto dell’andamento delle quote dei paesi avanzati e dei Bric si evince come “la caduta dei primi, passati complessivamente, solo negli ultimi cinque anni, dal 54,4% al 39,3%, sia speculare all’ascesa dei secondi”.
Crollo della produzione industriale in 13 anni - Profondo rosso per la produzione industriale italiana nel contesto mondiale: tra il 2000 e il 2013 infatti la manifattura made in Italy è crollata del 25,5%. Ed è proseguita la massiccia erosione della base produttiva: dal 2001 al 2013, la crisi ha fatto perdere al Paese circa 1 milione 160mila occupati e bruciato oltre 120 mila fabbriche.
Un malessere profondo da cui non è comunque immune l’Europa, “fiaccata da politiche di bilancio, dal credit crunch e da un euro forte che rallenta le esportazioni verso il resto del mondo”, ma che è costretta a competere con un livello della produzione dell’industria manufatturiera mondiale che nello stesso periodo cresceva del 36%. E’ questa la fotografia in bianco e nero, dal titolo evocativo “In Italia la manifattura si restringe”, che il centro studi di Confindustria affida al Governo per sollecitare, ancora una volta, “l’urgenza dell’iniziativa politica per mettere al centro il settore manufatturiero”.
Ma l’analisi di viale dell’Astronomia, nonostante “il quadro impietoso”, non e’ del tutto pessimista: se in “in sei anni il Paese e’ passato dal quinto all’ottavo posto nella graduatoria internazionale dei maggiori paese produttori” resta comunque “un ottimo piazzamento” considerata la “fisiologica avanzata dei paesi emergenti”. E’ infatti il Brasile a scavalcare l’Italia nella classifica mondiale dei paesi produttori.
Tra le cause che intrecciandosi e accavallandosi tra loro portano a questo declino industriale, Confindustria addita ancora “il calo della domanda interna, l’asfissia del credito, l’aumento del costo del lavoro slegato dalla produttività e la redditività che ha toccato nuovi minimi”.
A crollare, nella produzione made in Italy, l’industria dei computer e macchine per ufficio, “quasi azzerata”, i tabacchi, “più che dimezzata” anche nell’elettronica e nel comparto automobilistico.Male anche il settore tessile , “prossimo al 50% della produzione iniziale”, così come la pelletteria ed il legno. Marcia positivamente invece e hanno retto alla crisi meglio di tutti, il settore alimentare, “in crescita del 7,2%”, l’industria cartaria e l’abbigliamento.
Un’Italia dunque in “controtendenza”, dice ancora il Report del Centro studi di Confindustria, che “fa peggio proprio là dove gli altri vanno meglio”. La perdita maggiore di produzione si è quasi esclusivamente concentrata nel periodo 2007-2013 in cui l’Italia ha registrato un -25% con un ritmo di produzione persa del 5% all’anno, “una contrazione che non ha riscontro negli altri più grandi paesi industrializzati”, relegando ad un -0,4% la caduta negli anni 2000-2007.
Un arretramento accentuato “da demeriti domestici” che includono i nodi che tradizionalmente legano tutta l’economia del paese: “calo della domanda interna, asfissia nel credito, aumento del costo del lavoro slegato dalla produttività, redditività che ha toccato nuovi minimi”. E questo perché, prosegue l’analisi degli economisti di viale dell’Astronomia, “nei paese avanzati la politica industriale e’ tornata a essere utilizzata come leva normale di governo dell’economia, con la stessa dignità di quelle di bilancio e monetaria”. In Italia no. “Il paese ha abbandonato il programma di rilancio industriale avviato nel 2006 con Industria 2015”, denuncia ancora Confindustria che vorrebbe guardare piuttosto alla creazione di cluster territoriali specializzati, con cui compensare i divari nei livelli di industrializzazione ereditati dalla storia. Per questo, “sono vitali interventi tempestivi perché partire in ritardo significa perdere terreno nei confronti dei paesi concorrenti che già si sono avviati lungo questo percorso”. Non solo. E’ anche “urgente” che l’iniziativa politica, tornano a richiedere gli industriali, “rimettano al centro il settore manufatturiero”.
La produttività e la comparazione con il resto del mondo registra infatti numeri preoccupanti: “dopo il rimbalzo nel 2010 del 10% la produttività nell’industria manufatturiera italiana ha subito una battuta di arresto nel 2011 che registro il 1,3% ed è tornata a retrocedere nel biennio 2012-2013 con un -2,4%”, lamenta Confindustria. Peggio ancora il costo orario del lavoro che nel 2013 e’ risultato del 20,1%, “sopra il livello del 2007”.
Ma nonostante la grande difficoltà in cui si dibatte il Paese il sistema “mostra ancora una forte capacità di competere sui mercati esteri e ci sono segnali di un cambiamento nelle strategie delle imprese per ridurre la dipendenza dal credito bancario, senza intaccare gli investimenti in ricerca e sviluppo”. Anche l’ottavo posto tra i paesi più industrializzati del mondo non è visto del tutto negativamente: “se le cose non fossero andate cosi’ male avremmo potuto difendere il sesto posto”, commenta Luca Paolazzi, capo economista di Viale dell’Astronomia.
Il manufatturiero italiano però in 10 anni si è profondamente trasformato perdendo terreno anche in settori tradizionalmente appannaggio del Made in Italy: tra il 2001 ed il 2011 infatti, il tessile ha perso il 27,8% di siti produttivi, fabbriche e il 41,9% di forza lavoro. Peggio ha fatto l’abbigliamento la cui flessione è stata pari al 31,6% in termini di stabilimenti e al 37,6% di occupati. L’industria dei prodotti in metallo perde quasi il 20% di fabbriche e 130 mila addetti mentre un vero crollo lo registra il settore mobili che mette a segno un doloroso -40% di siti produttivi e 55 mila occupati in meno, circa il 27%.
Squinzi: “E’ un bollettino di guerra” - La perdita di 1milione160 mila posti di lavoro e la scomparsa di 120 mila fabbriche in 13 anni “e’ un dato pesante, un bollettino di guerra”. Per questo serve fare “tutti gli sforzi per il rilancio del manufatturiero” e “dare priorità al lavoro se dobbiamo prima resistere poi rispondere” al crollo della produzione. Cosi’ il leader di Confindustria, Giorgio Squinzi, chiude il rapporto del Csc.