Patricia ha 24 anni. Capelli castani mossi, sguardo fiero. E' volata a Milano da Valencia, dove vive, e continua ad accarezzarsi il vestito nero a pois mentre racconta un pezzetto della sua vita di giovane studentessa universitaria. Una storia che comincia con lei a bordo di un autobus, l'occhio che cade su un annuncio che promuove la donazione di ovuli. Suona più o meno così: "Dona ovuli, dona vita". Patricia ci pensa, ne parla con un'amica che ha già iniziato il percorso (ma che alla fine non passerà i test per diventare ovodonatrice) e decide che sì, vuole farlo anche lei. Lo racconta come se fosse la cosa più normale del mondo: "Dono il sangue e ho aderito alla donazione di midollo osseo, cosa c'è di diverso? Nei primi due casi si può salvare una vita, con gli ovuli contribuisci a darla".
"Ok - ammette - in Spagna è previsto un compenso intorno ai mille euro e questo aiuta, ma non è la molla. Non cercavo nulla in cambio. Semplicemente è gratificante pensare di poter aiutare un'altra donna, una coppia in un momento di difficoltà. Felice di aver contribuito". La prima volta per lei è stato a 22 anni. "L'ho voluto io e mi sono presentata accompagnata da mia mamma nella clinica Ivi", realtà spagnola specializzata in riproduzione assistita che conta più di 70 cliniche in tutto il mondo, dopo la recente fusione con un gruppo americano, Rmanj. Nata nel 1990, ha all'attivo 160 mila bebè concepiti con tecnologie avanzate di Pma ed è meta per molti aspiranti genitori italiani che oggi possono contare su un centro a Roma per una parte del percorso (prima visita e monitoraggio), limitando i viaggi in Spagna solo per le fasi cruciali.
Patricia racconta la sua esperienza durante un incontro promosso da Ivi nel capoluogo lombardo: ha donato due volte, la seconda su chiamata del centro. "Non mi sono mai pentita e lo rifarei di nuovo", assicura. Un gesto che non le impedisce di sognarsi mamma: "Mi vedo madre di famiglia", dice. In Spagna le donatrici devono seguire un iter di controlli molto rigido. Le candidate che si presentano all'Ivi hanno un'età compresa tra i 18 e i 35 anni. L'idoneità alla donazione viene stabilita in una prima fase attraverso un'intervista personale e un colloquio con lo psicologo. Chi supera questo primo 'screening' viene sottoposto ad accertamenti clinici: ecografia, visita ginecologica, esami del sangue. Solo il 30% passa alla fase successiva, quella dei controlli sul cariotipo e del test di compatibilità genetica per verificare se siano presenti alterazioni cromosomiche che potrebbero portare a malattie genetiche nei nascituri. "Scriniamo 600 patologie - spiega Daniela Galliano, direttrice di Ivi Roma - e il test si può fare anche all'uomo della coppia che chiede l'ovodonazione per evitare che si incrocino portatori sani".
Ci sono delle regole precise "finalizzate a tutelare in tutto e per tutto non solo le coppie, ma anche la donatrice - chiarisce Antonio Pellicer, presidente di Ivi - E' previsto che le ragazze possano sottoporsi a un massimo di 6 cicli, con un tetto massimo di 6 figli compresi i propri. Sicuramente il fatto che la donazione venga ricompensata è un incentivo, ma la cifra che viene corrisposta è limitata per evitare che l'ovodonazione venga vissuta come una 'professione'. Quello che sostiene la pratica della donazione di ovuli in Spagna è anche un fattore culturale: il Paese è in generale primo per la donazione di organi in tutto il mondo. E il terzo punto fondamentale è l'anonimato". Al termine dei test l'identikit dell'ovodonatrice Ivi è quello di una ragazza tra i 25 e i 26 anni in media, per la metà con figli; un terzo studia all'università, un terzo frequenta il liceo, circa il 40% è sposata o convive.
Patricia è una delle tante che hanno scelto di donare e con naturalezza dice che "è stato facile. L'unica cosa che mi è pesata un po', da sportiva che pratica 'crossfit', è l'obbligo di dover stare ferma per i 4 giorni che precedono il prelievo degli ovociti. Per il resto nessun particolare fastidio". Anche la stimolazione ovarica per Patricia ha un impatto limitato. "Un'iniezione con un ago piccolissimo per 10-12 giorni. Sei sempre monitorata. Il personale del centro ti prende per mano e ti segue in ogni fase. Senti solo un po' di tensione all'addome come succede per il ciclo mestruale. E anche il giorno del prelievo alla fine vieni sedata e la procedura dura circa 20 minuti. Poi torni tranquillamente a casa".
La mamma di Patricia ha appoggiato la scelta della figlia e ha deciso di starle vicino. Il passaparola fra coetanee ha fatto sì che anche altre amiche si siano decise a donare. "Domani una mia collega farà la prima visita", racconta Patricia che lancia un messaggio anche alle ragazze italiane. "Donare ovuli non è costoso, ma gratificante. Fatelo, perché ne vale la pena". Aiutare chi non può avere figli e affronta momenti "devastanti" tra speranze, solitudine e dolore per i fallimenti. L'infertilità, riflette Vincenza Zambardi, psicologa Ivi, "viene vissuta come uno 'sgambetto esistenziale' inaspettato che provoca una crisi di vita". Non è facile parlarne, c'è chi nasconde i propri tentativi comunicando ad amici e parenti di andare in Spagna per una semplice vacanza.
A pochi passi da Patricia, un'altra donna si racconta. Ludmilla è russa e vive in Italia da anni, a Brescia. Sulle sue gambe siede il suo piccolo di un anno e mezzo. Un ometto elegante nella sua giacchetta. Mamma e papà lo hanno cercato tanto. L'odissea di Ludmilla è cominciata a 31-32 anni. Prima di approdare all'Ivi a 37 anni, col marito aveva alle spalle 6 tentativi andati a vuoto. Guardando su Internet hanno scelto la Spagna come meta per realizzare il loro sogno. Sono passati da attese e delusioni, la loro stessa relazione è stata messa a dura prova. "Ho pensato di lasciare l'Italia, mio marito e scappare via, tornare in Russia portando con me i problemi. In quei momenti bui si crea una crepa anche nelle unioni più solide". Ma per Ludmilla è tornato il sereno. La gravidanza è arrivata ed è filata via "senza complicazioni", e ora con il marito non ha occhi che per il suo "gioiello", come chiama il figlio tanto desiderato.
"Negli ultimi anni - sottolinea Pellicer - i progressi nel campo della fecondazione assistita hanno raggiunto risultati davvero sorprendenti e il futuro fa ben sperare. Noi di Ivi siamo impegnati sulla ricerca, in collaborazione con enti universitari di primaria importanza come le università di Valencia e di Yale, e attualmente siamo concentrati su diversi ambiti: dal ringiovanimento ovarico alla preservazione della fertilità, fino allo studio sull'impiego delle cellule staminali nella medicina della riproduzione per rispondere sempre meglio alle problematiche delle nostre pazienti. Siamo inoltre molto attivi nell'ambito dell'ovodonazione, per la quale abbiamo realizzato in Spagna la Banca centrale di ovociti più grande d'Europa che solo nel 2016 ha registrato 7 mila cicli di donazione".
Nonostante dal 2014 la legge consenta in Italia di ricorrere all'eterologa, le donatrici di ovociti scarseggiano e anche le procedure di importazione dall'estero sono "complicate", spiegano gli esperti. Mentre non si fermano i viaggi delle coppie oltreconfine. Dal 2012 al 2016 i cicli con ovodonazione a cui si sono sottoposte pazienti italiane nei centri Ivi in Spagna sono stati più di 7 mila, quasi 3 mila le procedure di fecondazione omologa. Le donne si presentano cariche di dubbi, soprattutto sulle donatrici. Chiedono che siano giovani, in salute, belle e simili a loro, specie per il colore degli occhi. Laddove le inglesi si informano su educazione, intelligenza, caratteristiche fisiche (altezza) e livello di studi, le francesi si preoccupano della taglia della donatrice, così come di educazione e intelligenza, requisiti richiesti anche dalle spagnole, cui si aggiungono doti artistiche, somiglianza e livello sociale.
"Il 20% delle nostre pazienti - riferisce Galliano - è rappresentato da donne di altra nazionalità; di queste, il 31% sono italiane, la più alta percentuale tra le straniere. Per il 10% circa si tratta di donne single o omosessuali, mentre il restante 90% è rappresentato da donne eterosessuali, con un'età che varia dai 37,5 anni per la fecondazione omologa ai 42,7 di chi si rivolge al centro per i cicli di ovodonazione". L'affluenza non si è ridotta dopo il via libera all'eterologa in Italia. Anzi. "Se nel 2014 le prime visite sono state 1.299 - conclude Pellicer - nel 2016 sono salite a quota 1.671. E la richiesta continua".