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Farmaci: lezione talidomide, il dramma che ha cambiato controlli e ricerca

(foto: Fotogramma)
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10 giugno 2016 | 20.06
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"Tempo fa, durante un congresso internazionale sul talidomide, noi danneggiati dal farmaco abbiamo fatto un esperimento: ci siamo messi in fila, a seconda dell'esito della molecola sul nostro corpo determinato dalla fase della gravidanza in cui le nostre mamme avevano assunto la fatidica pastiglia. E' stato impressionante per me, perché mi sono resa conto che se mia madre l'avesse presa solo 8 ore prima sarei nata anche senza orecchie, oltre alle lesioni sugli arti".

Quando racconta la sua storia non usa mai mezzi termini, Nadia Malavasi, presidente onorario di Tai onlus, l'Associazione thalidomidici italiani. E oggi a Milano, durante un incontro promosso da Research4Life, realtà italiana di science advocacy, e moderato da Francesco Brancati, presidente dell'Unamsi (Unione nazionale medico scientifica di informazione), torna sul dramma vissuto da tanti bambini vittime del farmaco che fu usato negli anni '50-'60 da donne in gravidanza per la sua azione ipnotico-sedativa, per limitare le nausee tipiche dei primi mesi e facilitare il riposo. Dopo che il caso è venuto a galla, è cominciata una lunga battaglia. "Ma anche oggi che finalmente è stato riconosciuto un indennizzo per i thalidomidici nati dal '59 al '65, serve qualche tutela in più", assicura.

Il 1961 fu l'anno boom delle nascite di thalidomidici in Europa e al tempo stesso l'anno del ritiro dal commercio della molecola nel Vecchio continente. "I numeri restano ancora ballerini: 20 mila è considerata la cifra minima dei nati thalidomidici", 10 mila i casi noti "e contati per difetto" al tempo della pubblicazione di un libro importante sul tema, quello del biologo Trent Stephens (2001). Malavasi è la curatrice dell'edizione italiana - datata 2015 - del volume firmato da Stephens con Rock Brynner: 'Il farmaco oscuro. L'incidenza del talidomide e la sua rinascita come medicina essenziale'.

"Nelle casistiche non si considerano tutti gli aborti, volontari e spontanei", fa notare Malavasi, che nell'introduzione al libro scrive per esempio che "molte donne venete (fonti indirette) e sicuramente non solo, vennero accolte per abortire in cliniche svizzere private". La vicenda "è stata insabbiata dall'inizio - osserva - In Italia, per esempio, non è mai stato fatto un censimento delle vittime, mai un convegno promosso dal ministero della Salute. Solo nel 2004 con la fondazione di Tai onlus si è cominciato a discutere di una legge che desse un riconoscimento alla patologia. Fino ad allora sembrava che non fosse nato neanche un bambino" malformato.

Poi sono seguiti altri provvedimenti, "fino al riconoscimento nel 2008 di un indennizzo per le vittime. Una soluzione varata in tutta fretta e con fasce strane per classificare i danneggiati, ma l'abbiamo presa così come è venuta". A ricevere l'indennizzo sono i nati dal '59 al '65, ma c'è stata una battaglia per estendere la fascia al '58 e al '66, perché sebbene il farmaco non fosse più in commercio c'era ancora un utilizzo residuo. L'iter del provvedimento che prevede l'estensione si è incagliato in Senato "dove si stavano sciogliendo alcuni nodi", ricorda la senatrice Emilia Grazia De Biasi, e dove sono sorti problemi legati agli aspetti finanziari della norma. E' stato anche chiesto un supplemento d'indagine. "Non ci siamo arresi - assicura la presidente della Commissione Sanità di Palazzo Madama - Vorremmo licenziare prima dell'estate il provvedimento".

Di ottenere un'assunzione di responsabilità in termini economici da parte dell'industria farmaceutica "non se ne parla per noi - dice Malavasi - E' ormai troppo tardi. Si pensi che la Grünenthal ha chiesto scusa solo nel 2012. Ma si può sensibilizzare la popolazione. I giovani non sanno neanche cosa sia il caso talidomide, gli anziani invece ancora ricordano i fatti che fecero scalpore negli anni '60". Un'altra ondata d'interesse mediatico, spiega Malavasi, "si ebbe nel 1971 in corrispondenza del processo in Germania contro collaboratori della Chemie Grünenthal. Io fui intervistata in quell'occasione, le telecamere mi raggiunsero a casa. Pensai quindi che il ministero doveva avere qualche file sul caso. Peccato che dopo, quando si è dovuto parlare di risarcimenti, era sparito".

'Il farmaco oscuro' racconta il percorso del medicinale dalle sue origini fino alla rinascita sotto forma molecole 'cugine' utilizzate contro alcune forma di cancro, la scoperta del nesso fra talidomide e malformazioni a opera di un pediatra, le fasi del processo "disturbato dallo Stato tedesco - dice Malavasi - e nato dall'impegno del padre di un bimbo danneggiato", e ancora la "piccola compensazione" ottenuta dalle vittime. La curatrice ricorda anche la nascita della prima bimba thalidomidica in Germania nel '56, senza braccia e orecchie. Era figlia di un dipendente dell'azienda produttrice.

Oggi i thalidomidici vivi sono il 40% circa dei casi: "2.800 tedeschi, 405 inglesi, 24 svedesi, almeno 23 spagnoli", elenca Malavasi. E la lista continua. "In Italia sappiamo dei 450 indennizzati, ai quali dovremmo aggiungere almeno altre decine di persone nate negli anni '58 e '66". Dopo questa dolorosa esperienza sociale, "dopo la tragedia che ci ha colpito, qualcosa è cambiato - prosegue Malavasi - La farmacovigilanza, la bioetica, sono nate da qui, sono cambiate le regole del commercio dei farmaci. Prima nessuno ne parlava. Ci abbiamo rimesso noi". Ed è da qui che si è partito oggi per riflettere sull'importanza della sperimentazione animale.

"Gli animalisti descrivono il caso del talidomide come esempio del fallimento della sperimentazione animale - spiega Silvio Garattini, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano - In realtà è vero esattamente il contrario. Esiste una letteratura scientifica sugli animali che dimostra malformazioni causate dal farmaco. Se fossero stati fatti prima studi simili, si sarebbero viste e avrebbero allertato. Quando venne fuori il problema di questo farmaco non c'erano molti controlli, per approvare una molecola bastavano veramente 5 ricette di specialisti. Allora non si facevano studi sulla riproduzione. Dopo il caso talidomide divenne obbligatorio".

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